RAVENNA | Fondazione Sabe per l’arte | 7 ottobre – 16 dicembre 2023
Intervista ad IRENE BIOLCHINI di Francesca Di Giorgio
Possono tre “isole” diventare una comunità? Se le “isole” sono le ricerche di artisti differenti per biografia e formazione quello che su una carta geografica sarebbe a dir poco utopico può diventare realtà.
Anemoni la mostra di Renata Boero (1936), Alessandro Roma (1976) e Valentina D’Accardi (1986), in corso, fino al prossimo 16 dicembre, alla Fondazione Sabe per l’arte, nell’ambito della VII Biennale di Mosaico Contemporaneo, è un progetto di Irene Biolchini che, riagganciandosi al tema della vegetazione presente nei mosaici ravennati, costruisce un nuovo modo di rispondere alle nostre fragilità.
Si dice spesso che l’arte debba porre interrogativi, ma a volte si pone come la risposta, non l’unica certo, ma la più duttile possibile…
Se gli Anemoni, da cui ti sei lasciata ispirare per il titolo della mostra, riconducono ad una decorazione musiva diffusa nei mosaici ravennati sembra difficile rintracciarli in maniera diretta nel lavoro di Boero, D’Accardi e Roma… Quando e come hai pensato di mettere in relazione il lavoro di quest* tre artist* così diversi? Quale lavoro hai scelto per ognun*?
L’obiettivo era proprio quello di costruire una relazione capace di richiamarsi a un “sentire”, ad un senso di appartenenza che potesse però passare solo attraverso riletture e ibridazioni. La sfida posta da Fondazione Sabe era chiara: dialogare con la tradizione identitaria del mosaico ravennate ma con nuovi occhi. Qualcosa che permea la ricerca di molti artisti contemporanei del resto e che mi sembra debba essere messo in relazione con gli studi sul “pensiero arcipelago” di Glissant. È stato proprio Glissant a elaborare un pensiero che promuova la diversità culturale, la creolizzazione, la relazionalità e la costruzione di identità. Una identità che non si appelli più all’ “identico”, ma all’opposto sia capace di aprirsi alla relazione, all’incontro e all’accordo delle differenze.
Così è nata anche l’idea della mostra: esporre una serie di “isole” (che fossero i nuclei delle ricerche individuali esposte da ciascuno) in dialogo nell’allestimento di insieme.
Apre la mostra uno storico Cromogramma di Renata Boero, nata da una lunga riflessione dell’artista proprio sul senso identitario e attorno al tema delle radici. Seguono poi una serie di piatti di Alessandro Roma, allestiti come una parete in continuo movimento, quasi in un senso rituale e ciclico del tempo. Nei lavori di Valentina D’Accardi la fotografia e il video vengono ridotti a atto di presenza, vero fulcro rispetto alla qualità formale dello scatto o della ripresa: dalla distruzione della riproduzione tecnica si recupera l’unicità dell’opera, il suo sentire mistico e unico, il legame con una natura che è contemplazione, apertura verso l’ignoto, incontro.
Quando hai incontrato, invece, le singole ricerche, de* gli artist* coinvolti nel tuo progetto? Hai già avuto occasione di lavorare con loro in passato? Ricordo soprattutto Alessandro Roma e Valentina D’Accardi…
Esattamente, ottima memoria! Valentina D’Accardi (nel 2016) e Alessandro Roma (nel 2018) hanno esposto al MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza) all’interno dei progetti curatoriali di cui mi sono occupata per diversi anni come Guest Curator dell’istituzione e che avevano lo scopo di costruire relazioni (non necessariamente formali, ma anche suggestioni) con la collezione del museo. Poi, come accade alle volte, oltre che artisti con cui ho continuato a collaborare negli anni sono diventati anche amici. A volte per me diventa difficile distinguere arte e vita, anche perché spesso le opere e il discorso attorno alle stesse si unisce a lacerti di pagine di diario, lettere, scambi. Con Renata Boero il percorso è stato simile e diverso: l’ho conosciuta sempre in occasione di una mostra organizzata al MIC e curata da Marinella Paderni e Giovanna Cassese. Da lì ci siamo poi parlate più volte e sono felicissima che una delle sue opere sia entrata in questo percorso.
La Romagna è tua terra di origine e il pensiero dell’alluvione del maggio scorso è ancora vivo. La serie di piatti di Alessandro Roma, esposti in una grande parete della Fondazione Sabe, la scorsa primavera galleggiavano all’interno del laboratorio di Ceramiche Lega colpito dall’alluvione… Sappiamo che distruzione e salvezza fanno parte del ciclo naturale, a noi, e all’arte, spetta il compito della cura?
La Romagna è da anni uno spazio onirico, il luogo dove colloco le radici (e a cui torno ogni volta che ho bisogno di fare pace con la realtà). L’alluvione di maggio ha riportato questi spazi mentali a metrature reali; il danno agli edifici, al patrimonio, alle botteghe è stata per me non solo perdita ma anche consapevolezza. Improvvisamente ho capito che non era solo la terra romagnola a rimanere in me, ma anche un suo certo modo di costruire comunità, di aprirsi all’ironico, di resistere con un sorriso. In quei giorni la cura è passata nelle mani di un’intera comunità: un insieme di persone che si è naturalmente riversato per le strade aiutando gli altri, prendendosi cura del prossimo. Si è attivato qualcosa di potente quando i cittadini si sono presi cura della bottega Lega travolta dall’acqua ad esempio: è come se la cura iniziale della bottega nei confronti del lavoro dell’artista avesse generato nuova cura e amore. Davanti alla forza distruttiva e non solo generatrice della natura siamo stati chiamati ad essere comunità, a rispondere creativamente. Un approdo verso un sentire che superi il tempo che ci è dato, che sappia riconnettersi a forze che non necessariamente riusciamo a spiegare e processare, una cura che può solo passare per l’incontro con l’altro in una definizione identitaria che sappia uscire da maglie e regionalismi. A noi operatori culturali il compito di proteggere termini come identità e territorio strappandoli a pericolose retoriche reazionarie, riportandoli al contatto con l’altro.
Mi viene in mente il titolo di un libro della Mazzantini di qualche anno fa, “Nessuno si salva da solo”, la storia non ha nulla a che fare con il tuo progetto ma sintetizza un concetto di unione e comunità che in qualche modo vuoi restituire con Anemoni…
Direi che è quello che cerco di restituire in ogni progetto, una forma di resistenza creativa ad un mondo che ci viene presentato come sempre più diviso, feroce, iperliberista. L’arte è in grado di ricordarci che il mondo è molto più di questo, basta sceglierlo, amarlo, curarlo.
Anemoni
Renata Boero – Valentina D’Accardi – Alessandro Roma
a cura di Irene Biolchini
7 ottobre – 16 dicembre 2023
Fondazione Sabe per l’arte
Via Giovanni Pascoli 31, Ravenna
Orari: giovedì, venerdì e sabato ore 16.00-19.00. Ingresso libero.