TORINO | Mazzoleni | Fino al 22 ottobre 2022
di ILARIA BIGNOTTI
Uno dopo l’altro in processione parietale, i vetri ricamati di frantumi di Andrea Francolino accolgono il visitatore nelle prime due sale, a piano terra, nella sede torinese della galleria Mazzoleni.
Una danza di crepe che, dal diafano della materia specchiante, emergono e s’inghiottono tra superficie e profondità. Così l’artista accoglie il pubblico, fino a farlo cadere, con gli occhi, a terra: un oculum che pare scavare al di sotto del pavimento, e che tuttavia vi galleggia sospeso, ancora di vetro, ancora tracciato nelle fratture dei colpi inferti. Si percepisce il ticchettio.
È il tempo a disposizione per guardare? Al di sotto della sala, un video dimostra i reperimenti. Crepe raccolte, in casualità consapevole, dall’artista, si susseguono sullo schermo. Strade, viottoli, terra, marmi, mattonelle. Un campionario ferito, non più calpestabile, ma percepibile a tempo. Vi calchiamo sopra gli occhi, che già nelle crepe su vetro, sopra, si erano infranti.
Vedere, cogliere, colmare una distanza tra ciò che si manifesta e ciò che è latente.
Di questa continua e mai risolta attesa, si carica di senso la prima mostra personale dell’artista di Matera, classe 1979, di studio a Milano.
Lorenzo Benedetti, curatore dell’esposizione e del catalogo che l’accompagna, parla di Spazio beante. L’aggettivo è un francesismo utilizzato, in ambito geografico fisico, per descrivere quei fenomeni carsici e tellurici. Quindi vien da pensare che Andrea Francolino risolva la frattura – tra l’uomo e la natura, intesa quale madre primordiale capace di accogliere, fino a una certa saturazione, la generazione e la violenza, l’origine e la fine, e tra l’uomo e il suo architettare artifici che generano e violentano, principiano e si suicidano – in un salvifico campionamento: come se il prendere atto della crepa e delle sue infinite possibilità generative e disgreganti fosse già un modo di accogliere, appunto, felicemente, o almeno consapevolmente, la vita, la morte.
Ma beante mi piace pensare che sia assonante e in un certo senso risuoni in un termine filosofico, quello di béance. Un termine che in italiano è intraducibile in modo pieno, coniato dal filosofo francese Jacques Lacan: lo si traduce come “mancanza ad essere”, desiderio originario dell’uomo di ricucire una frattura primordiale; frattura che il filosofo rimanda al rapporto, a un certo punto interrotto, tra madre e figlio. Una crepa, insomma, che genera una ripetizione, o un tentativo almeno di trovare l’unità di quell’abbraccio primordiale, viscerale. Nella e sulla terra, di nuovo: nelle e sulle viscere di un grembo che nasce anch’esso da una frattura.
Gli artisti dicono molto più di quello che pensano di dire: nell’installazione Dalla terra al cemento alla terra al cemento, una sequenza di quadrati a pavimento mette in dialogo i due materiali per addizione dell’uno e sottrazione dell’altro: al di là dell’impatto pittorico – che sempre è fortemente presente in Francolino, come tensione all’armonia e controllo della forma in direzione pienamente classica – l’installazione è una danza tra due opposti: l’uno cerca una fusione con l’altro e né l’uno né l’altro materiale cede alcunché, ma mette in luce la frattura e l’inevitabile, irrisolta, mancanza ad essere. Metafora dell’uomo che genera e distrugge.
Non a caso sulla parete, ad angolo, due lavori partono da una casuale evidenza: una goccia di materia a terra diventa immagine di una esplosione cosmica.
Prima di entrare qui, con metodo e con tutto l’affetto di cui un artista è capace verso la sua opera – e il visitatore – la mostra racconta la storia delle rilevazioni della crepa: la terra, il cemento, il ghiaccio e l’acqua. Rilevazioni delle fenditure telluriche che Francolino ha campionato negli anni, diligentemente tracciato con posizioni GPS alla mano, trascritte come titoli identificativi dell’opera.
Un modo per ricucire una frattura con la storia, con la natura, attraverso l’atto del riconoscimento e della registrazione: in continuo mutamento. Nelle ultime grandi opere su carta, dove è l’acqua a marcare la crepa con ricami spessi che la gonfiano e ritmano, la posizione satellitare del rilevamento non è più indicata: il passaggio è significativo, credo; la frattura diventa sempre più ininfluente nel suo accadimento spazio-temporale. Ciò che conta è l’imprinting che lascia, attraverso la trasposizione artistica, sul codice materico. Non si tratta di un giocare alla variazione sul tema. Ma di accogliere tutte le “mancanze ad essere” dell’uomo.
Rigogliose e potenziali: un inno alla vita, alla forza che comunque la vita ha, in prima istanza sull’arte, al di là di ogni tragedia. Il tripudio vegetale nell’armonia dissonante dell’installazione A-Biotic, un delirio organizzato con il quale Francolino riflette sulla natura e le sue regole in rapporto ai tentativi artificiali di rappresentazione, lo dichiara e lo esalta.
Andrea Francolino. Venne all’esistenza lo Spazio beante
a cura di Lorenzo Benedetti
Fino al 22 ottobre 2022
Mazzoleni
Piazza Solferino 2, Torino
Orari: martedì – sabato: 10.00 – 13.00 / 15.45 – 19.15.
Domenica e lunedì su appuntamento.
Info: (+39) 011 534473
torino@mazzoleniart.com