RAVENNA | Palazzo Rasponi delle Teste | 23 febbraio – 24 marzo 2019
Intervista a ANDREA CHIESI di Livia Savorelli
Una pratica, quella della pittura, che per Andrea Chiesi diventa “pratica di meditazione”, una modalità che gli ha permesso in tutti questi anni di disciplinare la mente, di “ricercare la luce attraverso le tenebre”…
I Luoghi Ultimi, tua personale in corso al Palazzo Rasponi delle Teste di Ravenna, oltre ad essere un importante momento espositivo per il corpus di opere presentato – in mostra una trentina di dipinti che vanno dai primi Anni 2000 fino alla più recente produzione, oltre a taccuini, disegni a pastello, e copertine dei dischi disegnate negli Anni ’90 – è un viaggio attraverso i luoghi che caratterizzano il tuo lavoro da quasi trent’anni: luoghi dimenticati ed abbondonati a cui doni, attraverso il tuo inconfondibile stile e i cromatismi a te cari, nuova aura e nuova vita. Cosa rappresenta per te la pittura e perché, per così tanto tempo, è stato e resta il tuo medium prediletto?
Nasco come disegnatore, poi mi sono innamorato della pittura, non so perché, ma non ne potevo fare a meno. È semplicemente il mezzo più adatto che ho avuto a disposizione per sviluppare una disciplina della mente. Questo l’ho compreso col tempo, all’inizio del mio percorso lo facevo e basta, inconsapevolmente.
Dipingo per ordinare il chaos, per organizzare l’universo attraverso linee e architetture. In questo è stato determinante il mio studio sul buddhismo tibetano e la pratica della meditazione vajrayana. Pregare prima di dipingere come gli antichi monaci amanuensi, dipingere strutture come fossero mandala, dipingere come pratica di meditazione.
Il tuo incontro fisico con questi luoghi avviene agli inizi degli Anni ’80, con la frequentazione degli ambienti punk e post punk dell’area emiliana. Come questo immenso bagaglio iconografico si è riversato in pittura? Il punto di partenza è sempre il dato reale, sintetizzato in una foto che fissa un momento, sia che essa sia da te realizzata sia che sia del tuo “compagno di esplorazioni” Roberto Conte?
Il punk e il post punk mi hanno permesso di sopravvivere agli Anni ’80, ne ho un ricordo terribile. La musica era solo uno degli aspetti, si trattava di dimostrare che un altro modo di esistere era possibile, non importavano il denaro, il successo, le apparenze. Questo mi ha dato speranza e soprattutto una attitudine libera, controcorrente, una grande apertura mentale.
Parto dal reale perché mi circonda, perché rappresenta il mio tempo. Sin da ragazzo ero attratto da questi luoghi, mi chiamavano, eravamo simili. C’è un aspetto del mio lavoro che riguarda proprio la documentazione del paesaggio, la storia più recente, i cambiamenti politici e sociali, il lavoro in fabbrica, il mondo che è cambiato. Questo è il punto di partenza, poi si sviluppa tutto il resto.
I tuoi soggetti attingono sempre dal reale per poi assumere una forma altra, hai dichiarato infatti che «lo spazio diventa un luogo intimo, personale, un’astrazione mentale fuori dal tempo»… Come convive nella tua arte, l’atavica paura dell’uomo contemporaneo di riempire la propria vita per rifuggire dalla solitudine? Cosa resta dei luoghi quando essi perdono la presenza dell’uomo?
I miei dipinti diventano architetture dell’anima, sono una sintesi in cui confluiscono i miei interessi per le religioni e l’alchimia. La pittura si stacca dall’elemento reale e diviene rappresentazione dell’impermanenza e della vacuità.
Tutto scorre, tutto passa e si trasforma. La realtà grossolana in cui viviamo è solo una delle infinite possibili, siamo prigionieri della stessa realtà che noi costruiamo.
Siamo ciechi, non ci accorgiamo della nostra parte divina. Questa vita è solo un passaggio intermedio di un processo infinito.
In occasione della mostra, hai presentato la tua nuova monografia edita Silvana Editoriale, coprodotta dalla tue gallerie di riferimento (Guidi&Schoen Arte Contemporanea, D406 Arte Contemporanea ed NM Contemporary), che tra i contributi annovera un commovente testo del poeta e cantante Giovanni Lindo Ferretti. Testo fortemente intimistico e, al contempo, attenta ed implacabile analisi antropologica della nostra società.
Nel testo si delinea, in poche e coincise righe, l’essenza della tua pittura: «ben in vista una pila di cataloghi a documentare il tracciato del tuo dipingere, sigillo di una quotidiana disciplina un po’ monastica, un po’ ossessiva, indispensabile a una trasfigurazione del reale capace di coglierne il mistero: per visione, nei frammenti, nei riflessi». Mi interessa sapere se condividi il concetto di abbondono espresso da Lindo Ferretti e le affermazioni circa la deriva morale e spirituale in atto nella nostra società?
Sì, e coincidono con quanto riportato dalle sacre scritture induiste, tra cui i Veda, secondo le quali stiamo vivendo il Kali Yuga, un’epoca tenebrosa e oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale, che terminerà con la fine del mondo come lo conosciamo. Tuttavia si narra di una nuova era che seguirà, una nuova età dell’oro.
Tutto accade per un processo di causa ed effetto, ogni fine è un nuovo inizio.
In sintesi tutta la mia pittura è questo, un processo di trasformazione, di trasmutazione spirituale, la ricerca della luce attraverso le tenebre.
I LUOGHI ULTIMI. Mostra personale di ANDREA CHIESI
23 febbraio – 24 marzo 2019
Palazzo Rasponi delle Teste
Piazza J.F. Kennedy 12, Ravenna
Orari: Feriali: 15-18. Sabato e festivi: 11-18. Chiuso il lunedì
Al mattino apertura su prenotazione. Ingresso libero.
Info: paolotrioschi@comune.ra.it /0544.482767