MILANO | Amy-d Arte Spazio | 7 – 28 ottobre 2021
Intervista ad ALICE PADOVANI di Francesca Di Giorgio
Né pittrice, né scultrice, né performer, anche se la sua ricerca si nutre di tutti questi media. Alice Padovani alimenta una tensione creativa multiforme che muove da stratificazioni, sovrapposizioni ed innesti che originano da mondi altri – materia organica che l’artista raccoglie e recupera e che si unisce ad altra inerte – determinando una pratica che rifugge dalle solite logiche del sistema dell’arte e che rende la sua figura artistica non classificabile in senso univoco.
Ecdysis. Economics of mutation, la nuova mostra personale della Padovani, a cura di Livia Savorelli, da AMY-d Arte Spazio offre un’occasione unica per esplorare tutte le facce di quella realtà molteplice in cui l’artista crede e che contribuisce, attraverso la sua ricerca, a ricreare nella sfera del visibile e dell’invisibile perché l’artista ci ricorda: «Siamo sempre gli stessi, continuamente diversi»…
La tensione creativa che si crea nel tuo lavoro come si esplicita nella scelta del medium più idoneo ad esprimerla? Partiamo da questo assunto di Antoine Lavoisier, “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”…
Le parole di Lavoisier sono una traccia presente in tutti miei lavori, o forse semplicemente è la visione che ho del mondo e delle cose. Tutto si trasforma.
Sovrappongo, stratifico, creo innesti perché credo fermamente in una realtà molteplice. Non parlo solamente della realtà tangibile delle cose, ma anche e soprattutto di quella parte invisibile che abita all’interno della nostra emotività, del nostro sentire, del nostro essere più intimo e occulto. Siamo sempre gli stessi, continuamente diversi. La mia tensione creativa è generata per lo più da una curiosità vorace, dal costante desiderio di cambiamento, da uno sguardo che tende sempre a puntarsi sull’inatteso e su ciò che sta dietro alla superficie. La necessità di non precludermi nessun medium e nessuna tecnica si spiega nella volontà di realizzare un’opera nella sua forma ideale. Ogni volta la tecnica viene suggerita, appunto, da ciò che permea lo strato più profondo di un’idea, di una visione. Oltre a questo ammetto di avere una certa propensione alla scoperta e amo sperimentare nuovi materiali, nuovi schemi, nuove strutture.
In un’intervista di qualche anno fa di Livia Savorelli pubblicata su espoarte.net, quando ti si chiedeva del tuo rapporto con l’elemento naturale e il desiderio di tutela e preservazione dello stesso, hai poeticamente risposto: “È la natura fragile che deve essere preservata e sono io che mi riconosco in essa come uno dei suoi animali feriti. La natura resiste dentro di me come se la mia memoria e quella del mondo naturale potessero fondersi […]”. Uno dei cardini della tua ricerca è proprio il rapporto simbiotico tra memoria della natura e memoria dell’uomo e la personale Ecdysis. Economics of Mutation, che stai per presentare alla Galleria Amy-D Arte Spazio di Milano, è una narrazione che incita a “cambiare pelle”, ad abbandonarsi alla mutazione e alla metamorfosi per rinascere trasformati. Mi domando se gli anni difficili della pandemia, con il crollo della visione antropocentrica, abbiano accelerato certe riflessioni…
Come è possibile assecondare la tensione al cambiamento in un’umanità così ostinata nel perpetrare i propri errori?
Questa volontà di cambiare pelle mi ha sempre accompagnato. Di certo gli ultimi due anni hanno sollecitato la voglia di fare emergere questo mio aspetto in modo più evidente, in una certa misura impetuosamente e senza alcun filtro. Il tempo alienante della pandemia, più che aver accelerato in me queste riflessioni, ha determinato l’intenzione di farle emergere del tutto. Cerco di assecondare questa mia tensione evolutiva tutti i giorni attraverso il mio lavoro, uscendo costantemente dalle abitudini sia formali, sia poetiche. Tento di essere aperta a ogni stimolo, a ogni parola, a ogni immagine che mi attraversa: vivo in un perenne stato di ascolto e di raccolta. Al contempo, sono consapevole di essere immersa in una società che reagisce al cambiamento e alle trasformazioni sociali, culturali, ambientali in modo rigido e conservativo, spesso ritraendosi e tornando indietro come a fuggire dall’ignoto.
Nei giorni in cui mi sento più genuinamente ottimista percepisco a livello globale un certo desiderio di metamorfosi, una sorta di spinta rivoluzionaria nascosta. In questi stessi giorni penso che molta gente potrebbe avere le risorse, le capacità e la voglia di evolvere, ma semplicemente indugia o rimane bloccata da qualche resistenza interna, da piccole e grandi paure, da egoismi che la fanno desistere. In tutti gli altri giorni la sensazione è quella di un’invalicabile distanza: mi sento sola, divisa, dentro una magnifica bolla in cui tutto può succedere, tutto può essere creato, inventato, ma all’esterno della quale c’è un immenso abisso.
In questo “racconto diffuso e rizomatico” si respira una forte tensione intimistica, penso ad esempio ad opere come Deimatico o Reminescence bump, solo per citarne alcune.
Partiamo da Deimatico, un progetto che inizia come atto performativo, documentato grazie alla collaborazione del fotografo Massimiliano Camellini, e restituito nella sua versione finale come composita installazione. La tua figura ricoperta di spine si rivela al mondo, in un primo momento proteggendosi esibendo degli strumenti di difesa, poi spogliandosi della superficialità di una pelle artificiale, aprendosi così alla scoperta della propria vera essenza. Cosa ti ha ispirato e cosa ti ha portato a diventare tu stessa protagonista della narrazione?
Ogni lavoro artistico è sempre autobiografico, tuttavia, mai come in questo caso mi sono resa manifesta agli occhi degli altri. In questo progetto, per la prima volta, avevo un bisogno ineluttabile: io dovevo essere l’animale al centro della mia opera. L’idea alla base di questo lavoro era pronta da anni, in attesa nelle pagine di un quaderno, ma solamente quando ho intuito di non avere più paura di mostrarmi vulnerabile, si è potuta concretizzare.
Deimatico è un progetto che parla della paura. Nel regno animale il comportamento deimatico è di fatto un’esibizione di minaccia volta a spaventare, intimidire o anche solo a distrarre quelli che sono i propri predatori. Si allungano le spine non per offesa ma per difesa.
L’opera, attraverso 6 scatti fotografici, racconta i diversi strati di questa urgenza: l’esigenza di protezione, il desiderio di farsi animale, l’aggressività volta alla propria conservazione, l’insicurezza camuffata. Infine, una pelle reale, con tutte le sue spine ancora attaccate, ci parla di scoprirsi ed esporsi, di togliere lo strato di spine e paure per convivere con il nostro corpo fragile e corruttibile. Quello che non vediamo è la fase intermedia delle due narrazioni, l’Ecdysis, ovvero, il processo della muta in cui la vecchia pelle viene abbandonata a seguito di un enorme sforzo fisico ed emotivo. Non siamo tenuti a vedere questa misteriosa evoluzione, essa può solo essere immaginata. Ciò che resta è una forma vuota che testimonia l’esito della metamorfosi.
Per abbandonarsi al cambiamento, bisogna accettare la distruzione come elemento generativo di nuove possibilità. Tu questo processo lo hai sperimentato in prima persona e lo hai reso opera. Penso a Reminescence bump e all’atto, di nuovo performativo, di distruzione della memoria personale impressa nei tuoi diari personali, rinati secondo una nuova forma non ancora apertamente codificabile… Da quale urgenza nasce questa opera?
I fenomeni della mutazione e della metamorfosi sono i più radicali che esistano in natura, si tratta di un tempo programmato di distruzione e rimodulazione fisiologica che determina una crescita o una correzione della forma. La distruzione è fondamentale per l’evoluzione.
L’opera Reminescence bump è un’installazione composta da 15 scatole di cartone che contengono altrettanti diari personali le cui pagine, passate una a una attraverso una macchina manuale per distruggere i documenti, sono state lentamente e inesorabilmente distrutte. È stata un’azione violenta, tormentata, ma al contempo liberatoria: per una volta ho avuto la sensazione di poter decidere cosa ricordare e cosa dimenticare.
Questi diari erano diventati una narrazione obsoleta di me. Erano fissati in un tempo immutabile, impossibilitati a quel cambiamento che tanto vado cercando in questo periodo.
Dopotutto, un diario aiuta realmente la memoria? Non comporta forse il rischio di sostituire il ricordo con un racconto scritto? Quando trascriviamo le nostre pagine autobiografiche non trasformiamo la reminiscenza in narrazione letteraria e sempre meno in un’esperienza vivida?
Ciò che resta di queste riflessioni è ordinato in 15 scatole bianche e un ultimo diario (sfogliabile) che contiene una selezione casuale di parole trattenute dai diari distrutti, ricordi che hanno la forma di frasi brevi e disconnesse: di fatto una memoria resa indecifrabile.
Ritorna in occasione della mostra, questa volta in versione live, la performance. Sarà proprio ispirata al cambiamento, tra fisico e metafisico, (1) 1 – performance per movimenti di transizione che si svolgerà durante l’opening, giovedì 7 ottobre. Ci puoi dare qualche anticipazione?
L’azione performativa avrà una durata di circa 8 minuti e sarà accompagnata da una sonorizzazione, creata in collaborazione con la band Le Piccole Morti, che vuole evocare la sacralità del processo di mutazione dei corpi.
(1) 1 – performance per movimenti di transizione parla del cambiamento di stato e della forma che contiene in potenza quella futura. L’uno, ovvero il corpo ancora racchiuso pronto a uscire da se stesso, e poco più in là, il nuovo uno.
I movimenti dell’azione saranno diversi e vedranno la presenza di insetti vivi in alcuni dei principali stadi di mutazione. Una grande larva bianca, un coleottero, un insetto foglia secca: con gesti delicati seguiremo i loro corpi muoversi e raccontare una storia indefinita e poetica sulla metamorfosi e il suo mistero inaccessibile e sotterraneo.
Alice Padovani
Ecdysis. Economics of mutation
a cura di Livia Savorelli
Mostra premio assegnata nell’ambito di Arteam Cup 2019
7 – 28 ottobre 2021
Opening giovedì 7 ottobre alle ore 18
In occasione dell’opening l’artista realizzerà (1) 1 performance per movimenti di transizione
AMY-d Arte Spazio
via Lovanio 6, Milano
Orari: lun-ven 11.00-19.00
Sabato e festivi su prenotazione
Info: +39 02654872
www.amyd.it
info@amyd.it