MILANO | PAC Padiglione d’Arte Contemporanea | Fino al 15 settembre 2024
Intervista ad ALICE GUARESCHI di Nicoletta Biglietti
Je m’appelle Olympia è un’azione per luci di sala eseguita un’unica volta il 12 aprile 2012 all’Olympia Music Hall di Parigi, per un numero scelto di invitati; una coreografia luminosa che ha coinvolto tutte le tredici piste di luci colorate integrate in modo permanente nell’architettura del teatro e della quale, grazie all’installazione site-specific pensata da Alice Guareschi per il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, è possibile vedere le 16 fotografie che sono state scattate quello stesso giorno, subito dopo l’azione performativa. Nicoletta Biglietti ha intervistato l’artista dialogando con Lei sulle scelte estetiche, formali ed espositive dell’installazione.
Com’è nata l’idea di attivare un teatro senza alcuno spettacolo sul palco, ma risvegliando quella vita segreta spesso sottratta allo sguardo dello spettatore?
Anche se spesso ce ne dimentichiamo, perché troppo concentrati sul nostro stato in luogo e tempo presente, gli edifici, come i paesaggi, continuano la loro vita anche al di fuori del nostro campo visivo, senza di noi. Il loro tempo ci precede e ci sorpassa. Quando sono stata per la prima volta all’Olympia per un concerto, ho pensato a quante storie avrebbe potuto raccontare quel teatro, quante cose aveva visto e ascoltato negli anni, sia sul palco che dietro alle quinte, a sipario chiuso. Da qui l’idea di scrivere una partitura per le sole luci di sala e attivare una coreografia luminosa che coinvolgesse l’architettura stessa, così da dare voce a Olympia e permettere a quell’energia accumulata nel tempo di sprigionarsi. La prima persona singolare del titolo afferma il suo ruolo da protagonista. È il teatro stesso che parla.
Nell’allestimento ideato per il PAC, la scomposizione dell’azione in fotogrammi e la disposizione di quest’ultimi in modo circolare rispetto al centro della sala porta il visitatore ad avere uno sguardo d’insieme ruotando su se stesso o muovendosi nello spazio. Da cosa nasce il desiderio di riportare, anche nella fase allestitiva, l’attenzione sulla componente temporale dell’azione, infrangendo la “quarta parete” e portando – idealmente – chi osserva “al centro” di quel palco?
La Project Room del PAC non è uno spazio semplice, andava addomesticato, per fare in modo che la fruizione delle immagini e in generale l’esperienza fisica di chi le guarda fosse coerente con il senso del lavoro. Ho cercato di farlo aggiungendo una parete a chiusura delle finestre e accorciandolo in lunghezza, così da ottenere uno spazio più raccolto, che permettesse una visione di insieme, circolare, della serie fotografica e degli altri due lavori in mostra: la partitura originale e l’invito all’azione per luci di sala, presenti nella rientranza a lato dell’ingresso che funziona come una macchina del tempo, con un filo invisibile teso tra il 2012, anno in cui ho attivato il teatro, e il 2023, anno di produzione delle fotografie. Si accede allo spazio espositivo attraverso un sipario di velluto rosso, di fronte al quale, sul fondo, se ne trova un secondo identico, a delimitare l’uscita. In questo modo, nel campo e controcampo visivo della mostra, lo spettatore ritrova la stessa immagine di chi era presente all’azione dal vivo: un movimento di diversi quadri di luce nello spazio vuoto del teatro, e il sipario chiuso. Anche qui, come in precedenza al MAN di Nuoro, ho cercato di creare uno spazio “altro”, sospeso, sottratto all’interferenza di suoni o segni. Le sedici fotografie, in cornice nera e fondo bianco, tutte installate alla stessa altezza, scorrono sulle pareti abbracciando l’intera sala, nella stessa sequenza riprodotta nel leporello edito da NERO che accompagna l’opera.
Molto interessante è il concetto di realizzare una mostra con 16 fotogrammi che non ritraggano il momento esatto della performance, ma alcuni istanti successivi ad essa. Quali sono stati i princìpi che l’hanno portata ad operare tale scelta?
Le immagini che compongono la serie sono state scattate il giorno stesso dell’azione performativa. Non mi capita sempre di avere uno sguardo così prospettico, ma in questa occasione, vista anche l’eccezionalità del luogo, avevo già deciso che l’opera si sarebbe realizzata in due momenti distinti, complementari: l’azione per luci, che ha a che fare con il tempo, la durata, l’esperienza dal vivo; e le fotografie, che invece investono lo spazio, e scompongono quella stessa durata in fotogrammi, visibili sia singolarmente sia nel loro insieme. L’immagine è quindi un secondo passaggio, come un’ulteriore forma di articolazione del pensiero, un modo di restare, di fare esistere l’idea non attraverso una semplice documentazione dell’azione, ma in una diversa, nuova, sintesi. Nonostante si tratti di immagini, anche se invisibile il tempo resta l’elemento centrale: Je m’appelle Olympia è un’opera fotografica time-based.
In occasione della mostra, Lei realizzerà un’azione performativa inedita dal titolo Live à l’Olympia, in cui il concetto di sottrazione e di fuoricampo sarà nuovamente presente. Quali riflessioni affronterà questa nuova pièce unique? Avrà anch’essa la possibilità di essere osservata post-azione?
Ho deciso di concludere il lungo percorso dell’opera Je m’appelle Olympia con un’altra azione di sala, nuova pièce unique attivata questa volta in un cinema a cui sono molto legata, il Beltrade di Milano, anch’esso di un rosso intenso come quello di Olympia. L’installazione, a ingresso libero e della durata di un’ora, prevede la diffusione in surround nella sala vuota di una composizione sonora inedita. La traccia audio, pensata come un collage di frammenti scelti tra alcune delle straordinarie performance che hanno animato negli anni il palco del celebre Music Hall parigino, nel rendere omaggio a voci e musiche che ne hanno fatto la storia, porta in primo piano un altro grande protagonista della memoria storica del teatro, fin qui lasciato intenzionalmente fuori campo: il suono.
Ma più che sulle singole canzoni o sulle melodie, ho deciso di concentrarmi su quello che accade prima, durante e dopo lo show: una frase di saluto, un rumore di passi, l’accordatura di uno strumento, una falsa partenza che fa ripetere l’attacco, un’esplosione di risa, gli applausi dal pubblico che sovrastano la musica, una nota stonata, una dedica, una pausa, un sospiro, (…), ovvero tutti quei momenti sporchi e imperfetti che rendono prezioso, irripetibile e spesso indimenticabile un concerto dal vivo. E per coerenza con l’unicità e lo spirito live della serata, non ci saranno repliche né registrazioni. È un’esperienza da vivere e ascoltare di persona… Vi aspetto!
Alice Guareschi. Je m’appelle Olympia
26 giugno – 15 settembre 2024
Project Room
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro 14, Milano
Orari: tutti i giorni 10.00-19.30; giovedì ore 9.30-22.30; chiuso lunedì
Info: +39 02 884 46359
info@pacmilano.it
www.pacmilano.it
Alice Guareschi (1976) è artista visiva, vive e lavora a Milano. Laureata in filosofia con una tesi sul cinema sperimentale, articola la sua ricerca utilizzando formati e linguaggi differenti, come il video, la scultura, l’installazione site-specific e la parola scritta. È stata artista in residenza a Parigi al Pavillon du Palais de Tokyo e alla Cité Internationale des Arts; a Triangle, New York; a Kaus Australis, Rotterdam. Nel 2008 ha vinto la Borsa per la Giovane Arte Italiana degli Amici del Castello di Rivoli, e nel 2022 ha vinto il bando di produzione PAC2021 promosso dalla DGCC del Ministero della Cultura. Ha partecipato a mostre collettive e festival in Italia e all’estero, esponendo in istituzioni pubbliche e private tra cui: Fondazione Re Rebaudengo, Torino; Palais de Tokyo, Parigi; Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino; MAMbo, Bologna; GAMeC, Bergamo; Mart, Rovereto; Palazzo delle Esposizioni, Roma; Dunkers Kulturhus, Helsingborg; Fondation d’Entreprise Ricard, Parigi; Villa Arson, Nizza. Principali mostre personali: Galleria Alessandro De March, Milano; Galleria Sonia Rosso, Torino; Centre Culturel Français, Milano; Castello di Rivoli, Torino; Istituto Italiano di Cultura, Parigi; Microscope Gallery, Brooklyn; Galerie DREI, Colonia; Museo MAN, Nuoro; Spazio Treccani Arte, Roma. Film festivals e screenings: Filmmaker Doc Festival, Milano; Impakt Festival, Utrecht; Italian Cinema London Festival; Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro; Milano Design Film Festival; La Fondazione, Roma; Triennale di Milano; Macro, Roma.