MILANO | Officine dell’Immagine | 5 aprile – 30 giugno 2012
di MICHELA DI STEFANO
In una di queste prime giornate di sole riesco finalmente ad andare a trovare Alessandro Cannistrà nel suo studio romano di via Reggio Emilia. Reduce da poco da un viaggio a Belfast, fatto in occasione dell’inaugurazione alla Golden Treath Gallery di una sua collettiva intitolata Patriainteriore, Alessandro mi accoglie nella sua base lavorativa con alcuni dei suoi ultimi lavori esposti alle pareti. Guardandoli comprendo subito la sottile allusione che il titolo della mostra, in corso ora in Irlanda, ha saputo cogliere nelle sue immagini.
Ritraggono luoghi che non assomigliano a nessun posto geograficamente riconoscibile, ma sembrano invece evocare quelle regioni interiori nelle quali la memoria e l’immaginazione s’incontrano e si confondono. E poi svaniscono. Come il fumo che Alessandro utilizza per delineare queste visioni fragili ed apparentemente effimere, un mezzo insolito che da molti anni adopera insieme alla pittura ad olio ma che, dal 2010, è diventato l’unico espediente attraverso cui “dipinge” i suoi eterei paesaggi.
«Abbiamo troppe sovrastrutture che ci impediscono di vedere le cose come realmente sono. Per fare questo bisogna prima iniziare a conoscersi. In questo senso posso dire che l’unico obiettivo che mi pongo è la ricerca, sia personale che artistica. Le mie opere sono solo una conseguenza di cio’».
Così Alessandro mi spiega l’importanza che ricopre l’indagine, umana e non, nella sua vita e nel suo percorso professionale. Un percorso, il suo, costellato da traguardi interessanti come la partecipazione alla X Biennale d’Arte Contemporanea del Cairo, alla XV Quadriennale di Roma e alla, sempre celebre, Biennale di Venezia; contraddistinto da scelte anticonvenzionali come l’adesione al progetto Garage zero 2011, format di mostra insolito promosso dall’omonima galleria, che ha visto la partecipazione di artisti e curatori desiderosi di trovare nuove modalità di fruizione ed espressione artistica. Una decisione, questa, che rispecchia la forte volontà di Alessandro di camminare su strade secondarie e meno battute, lontane dal chiasso e dalle tendenze passeggere che spesso il contemporaneo sposa, alla ricerca di quel silenzio, tutto interiore, che i luoghi mostrati nei suoi lavori sembrano emanare.
Nato a Roma nel 1975, Alessandro Cannistrà cresce in una famiglia amante dell’arte, che gli trasmette come valore principale l’amore per la cultura e un’educazione scevra da stereotipi sociali.
«Da bambino sognavo di fare cose banali come andare al McDonald, mentre i miei mi portavano con loro in noiosissime gite archeologiche dove mi raccontavano storie delle quali non m’importava nulla. Solo crescendo ho compreso la sensibilità che questo tipo di educazione mi ha dato».
Una sensibilità che lo spinge a dedicarsi totalmente all’arte e ad iscriversi, in seguito, all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove studia scenografia e dove comprende che se il talento è un dono, coltivarlo è una disciplina giornaliera che richiede dedizione e costanza. I lavori iniziali si presentano così composti da un disegno abile ed intuitivo che delinea una natura rigogliosa, tra la cui vegetazione si nascondono creature animali che, giocose, sembrano ignorare la traccia distruttiva che segue, spesso, la ben nota invasiva presenza umana. È una natura nostalgica perché ci proietta in un mondo che non esiste più o forse non è mai esistito realmente, un luogo estraneo a tutto il caos metropolitano del nostro frenetico contemporaneo.
Una tematica, quella della natura zoomorfa, molto cara all’artista romano, tanto che sarà presente in molte fasi, soprattutto in mostre come Ludicantropia del 2009, alla galleria Pio Monti; qui gli animali vengono presentati nella loro aspetto istintuale e giocoso, colti in una spontaneità libera dai contorti e sterili cerebralismi che tanto caratterizzano noi umani. Lo stesso termine ludicantropia è stato coniato da Alessandro per indicare la dimensione del gioco che gli animali, come i bambini, sono così facili mostrare. «Saper essere ironici e leggeri è la massima saggezza», così mi dice Cannistrà a proposito dell’argomento, facendo trasparire ancora una volta la sincerità di quella ricerca personale menzionata inizialmente.
Scorrendo con attenzione le varie fasi del suo lavoro, si nota una trasformazione lenta che denuncia il desiderio di slegarsi dalla tematica figurativa per assumere una connotazione sempre più astratta ed introspettiva; come si vede da alcune opere esposte nella personale Sfumature del 2006, alla Galleria Maniero, dove vengono presentati paesaggi collocati in un spazio immaginario, sospeso in un’atmosfera nebbiosa che rende tutto difficile da distinguere con chiarezza. È la forma che piano piano perde i suoi contorni. Ciò che emerge è una pittura monocroma, coniugata all’uso del fumo, che dà vita a quel territorio oscuro che potrebbe trovarsi all’interno di ognuno. È la relazione dell’io con le sue zone d’ombra, quelle parti che Jung vedeva come l’insieme degli atteggiamenti non sviluppati della personalità.
Nelle opere successive si distendono complicati grovigli di vegetazione che diventano frammenti di un codice alfabetico sempre più minimale ed astratto (Disobbediente, 2007); un paesaggio che sembra galleggiare nell’aria, privo di quei riferimenti spaziali che permettono un punto stabile d’osservazione (Da un incerto punto di vista, 2008). Un’osservazione che viene resa sempre più incerta dai labirinti di natura che Cannistrà costruisce e che lentamente vengono invasi dal fumo.
Il passaggio oramai è compiuto. E la personale Fumo solo del 2010, alla Galleria Maniero, lo testimonierà in maniera esemplare. Lavori di grandi dimensioni eseguiti appunto solo con il fumo. Guardarli da vicino è incredibile. Mi viene in mente quel fantastico film, Smoke, diretto da Wayne Wang nel 1995, nel quale c’è la mitica scena dove il personaggio di Paul Benjamin, interpretato da William Hurt, cita la frase sul peso del fumo di una sigaretta bruciata. Un peso che non equivale a quello dell’aria ma che sembra racchiudere un valore aggiuntivo ed impalpabile. Il peso dell’invisibile. È con questo strumento che Alessandro delinea gli elementi verticali degli alberi, i quali divengono il modulo base di una ricerca che ha raggiunto finalmente una sua sintesi concettuale ed estetica. Un’arte che vuole essere semplicemente, come la natura, senza avere l’obbligo di significare nulla. «Ciò che mi interessa in realtà è la percezione», così Alessandro mi spiega gli ultimi risultati della sua ricerca, evidenziando come i suoi boschi disabitati siano un invito ad immergersi in un universo simbolico, nel quale è possibile prendere contatto con una realtà psichica più profonda. Quella inconscia. È lì che si nascondono ricordi, paure e pensieri, ed è lì che bisogna andare se si vuole conoscere davvero la propria natura interiore.
Oramai si è fatto tardi ed io devo andare. Guardo un’ultima volta le opere nello studio. Sono i lavori più recenti che, come mi spiega, saranno esposti per la personale che si terrà a Milano dal 5 aprile 2012 nella galleria Officine dell’Immagine. Alessandro mi parla con entusiasmo di questo progetto che vedrà la partecipazione critica di Andrea Bruciati. A.C.Questo il titolo. Due lettere che indicano le iniziali del suo nome. Perché in fondo Alessandro Cannistrà è lì, nelle sue opere.
Sono visioni sempre meno nitide e definite di una natura che il fumo sembra oramai confondere del tutto; eppure osservandole meglio si riesce ad intravedere al loro interno un sentiero che conduce non si sa bene dove. È un posto remoto che sembra divenire mano a mano più lontano dal nostro punto di vista esteriore. E lì che Alessandro è diretto. In quel luogo nel quale è possibile continuare la sua profonda ricerca interiore.
A.C. Alessandro Cannistrà
testo critico di Andrea Bruciati
Officine dell’Immagine
Via Atto Vannucci 13, Milano
inaugurazione 5 aprile 2012, ore 19.00
5 aprile – 30 giugno 2012
Orari: da martedì a venerdì 15.00 – 19.00 | sabato 11.00 – 19.00 | mattina, lunedì e festivi su appuntamento
Info: +39 0331 898608 – info@officinedellimmagine.it
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