Studio Vanna Casati
Bergamo
Alessandra Baldoni. La terza persona. Fotografie (di Viviana Siviero)
Alessandra Baldoni, poetessa, fotografa, story teller, inaugura la sua nuova mostra personale da Studio Vanna Casati. Come di consueto la sua non è una semplice esposizione d’arte ma un vero e proprio viaggio, che si volge fra sedimentazione di colore e bianco e nero capaci di rendere irreale il reale e viceversa, attraverso uno scivolamento continuo fra parola ed immagine fino a che entrambi i mezzi espressivi divengono indistinguibili a livello emozionale. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’artista, per saperne di più su questa malia, tramite la voce di colei che ne è responsabile diretta…
Viviana Siviero: Il titolo della mostra “recita” citando la terza persona… di chi e cosa si tratta?
Alessandra Baldoni: «La narrazione in terza persona è una tecnica narrativa con la quale la vicenda è narrata da una persona diversa dai protagonisti della storia» (Wikipedia). La terza persona è un modo di raccontare una storia, è un camminare da funambolo sopra le esistenze per guardarle dalla giusta distanza, è uno strofinarsi gli occhi per meglio vedere con l’innocenza, ogni volta, della prima volta e del primo sguardo, è uno spartito che aspetta di essere suonato. Sono sostanzialmente una narratrice, amo le storie, le cerco, le rubo, le mescolo, le scompongo. Mi interessano le immagini simili alla poesia, immagini che parlino sottovoce – senza bisogno di urlare o attaccarsi a forza agli occhi – che dicano qualcosa ma non tutto, che lascino un mistero e facciano intuire un segreto: immagini cortocircuito/emotivo, piccole imboscate al cuore che spingano l’osservatore a frugarsi l’anima, a risolvere un’inquietudine. La mostra da Vanna Casati è divisa in due parti (che coincidono spazialmente con i due piani della galleria): sopra la favola, la sospensione incantata, il tempo dei sortilegi e delle fate dal fuso che punge ed addormenta, delle bambine che sfidano i boschi ed il rischio seducente di perdersi.
Sotto, il marmo e i volti di pietra, le maniglie dei portoni a forma di demoni, gli angeli segnati dalla nostalgia, il mare che pare ancora intatto (esiste un luogo/rifugio che somigli a certi frammenti di infanzia intera e perfetta?) e gli alberi che fanno presagire una stagione che mescola i regni come se ogni fenomeno, ogni realtà fosse da considerare alla stregua di un sogno.
Sei una persona dalla sensibilità traboccante: il tuo animo sgorga di parole ed impregna ognuno dei tuoi singoli lavori, che non sono mai semplici fotografie.
Ci puoi descrivere il delicato e particolare legame che instauri con il soggetto della tua opera e con il pubblico. Quale rapporto credi che il pubblico stabilisca con le tue opere?
Sono una scrittrice, ogni mia foto nasce dalla carta e dall’inchiostro e ne conserva l’impronta nel “sentimento narrativo” che attraversa l’immagine. Gli stessi titoli, siano versi interi o laconiche indicazioni, non sono solo accostamenti ma costituiscono l’ossatura stessa dell’opera. I soggetti delle mie foto appartengono alla mia sfera affettiva, sono persone con cui “ho una storia”, un legame… in un certo senso sarebbe possibile una mappatura dei volti più cari della mia vita semplicemente facendo una ricognizione tra i miei scatti. Credo sia questa trama stretta stretta fatta di fili rossi che si annodano e avvicinano, questo palese lavorare a cuore scoperto che il pubblico percepisce e per il quale entra nel mio lavoro prima di tutto a livello emotivo: a me interessa posarmi tra i battiti, diventare pelle d’oca, toccare le persone dall’interno. Gli occhi sono solo un varco, un passaggio simile al buco in cui cade Alice… il resto è un sorprendersi, un accorgersi che abbiamo sogni paure desideri ferite spesso simili. Racconto e a volte coinvolgo il mio pubblico e chiedo di raccontare, di donarmi storie, rendendolo parte attiva delle mie opere. Senza questo filo esile della narrazione, del setacciare la memoria, ogni cosa si sfalda e si sfarina, il mondo intero si squaderna. Questo è l’asse cartesiano, il cardine. Il filo a piombo sul cuore.
Il testo che accompagna la mostra è di Mario Cresci: un punto di vista dichiaratamente soggettivo, un omaggio sensibile e toccante, molto eloquente.
Ci parli del vostro rapporto e specificatamente in questa occasione?
Mario Cresci è da sempre uno dei miei artisti preferiti, ammiro il suo lavoro da anni, il suo modo prezioso e delicato di usare l’immagine, questo raccontare la fragilità delle cose e dei segni che esse stesse lasciano come fossero piccole preghiere pagane per non svanire nel nulla. Il suo sguardo è poetico e struggente ma riesce a mantenere una leggerezza e una lievità che io adoro.
Ci siamo conosciuti per caso a Savignano e trovati ad esporre al Festival (SI FEST Savignano Immagini Festival n.d.r). Mario ha apprezzato il mio lavoro e ci siamo “riconosciuti” e trovati molto vicini per un certo modo di intendere la fotografia e la narrazione attraverso le immagini. Questo accadeva all’incirca un anno fa: nel tempo siamo rimasti in contatto maturando insieme quest’idea di una nuova mostra curata da lui. Il testo che mi ha scritto è stato un dono, la sua sottile sensibilità riesce sempre a trovare il fuoco centrale di un percorso artistico. Vanna Casati che conosce Mario Cresci da tempo ed è mia gallerista da anni ci ha dato la possibilità di esporre questo primo progetto insieme. Spero che la collaborazione con Mario prosegua, credo possa essere per me davvero preziosa.
Progetti per il futuro? A cosa stai lavorando?
Ho diverse cose che mi girano in testa e fanno pressione sul cuore. Sicuramente vorrei portare avanti il progetto Ti rubo gli occhi facendolo girare per l’Italia e raccogliendo sempre nuovi diari (il lavoro coinvolge le persone alle quali consegno per un mese esatto un diario con una foto sulla prima pagina: a partire da quell’immagine chiedo loro di raccontarsi e raccontarmi, di farmi dono di storie sogni paure amori ossessioni ferite). Vorrei arrivare ad averne tantissimi di questi diari come fossero cartografie dell’anima da esporre tutte insieme in un mappamondo fatto di scrittura.
Ho in mente anche un altro progetto che vede il coinvolgimento delle persone, una sorta di “ricostruzione sentimentale” di biografie sconosciute, perdute e dimenticate per cui chiederò di scrivere storie partendo da vecchie foto ritrovate…
Credo che lavorare insieme agli altri sia una delle esperienze artistiche più emozionanti che esistano, si creano legami e connessioni, si dà vita ad un’opera d’arte corale e collettiva molto potente proprio perché fragile e particolare.
La mostra in breve:
Alessandra Baldoni. La terza persona. Fotografie
a cura di Mario Cresci
Studio Vanna Casati
Via B.go Palazzo, 42 (interno), Bergamo
Info: +39 035 222333
www.vannacasati.it
Inaugurazione sabato 9 ottobre, ore 18.00
9 ottobre – 20 novembre 2010
In alto:
“L’acqua trema appena”, 2009, stampa fotografica a colori da negativo
Sotto:
“Mangio uomini come aria di vento”, 2010, stampa fotografica a colori da negativo