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REGGIO EMILIA | PALAZZO DA MOSTO | FINO AL 26 MARZO 2021

Intervista ad ALESSANDRA BALDONI di Chiara Serri

La visita alla mostra Atlanti, ritratti e altre storie – 6 giovani fotografi europei, promossa dal Comune di Reggio Emilia e dalla Fondazione Palazzo Magnani come evento di avvicinamento alla nuova edizione di Fotografia Europea, insieme alla grande esposizione di Palazzo Magnani dedicata alla staged photography (True fictions – Ai confini della realtà, visitabile con biglietto unico fino al 26 marzo), ha assunto, per noi, significati che vanno oltre le opere esposte, legati alla frequentazione dei musei, alla fruizione diretta delle opere d’arte e alla capacità degli artisti di edificare ponti. Tra le interessanti proposte di Alessandra Baldoni, Alexia Fiasco, Francesco Merlini, Manon Lanjouère, Giaime Meloni e Denisse Ariana Pérez, selezionate da Walter Guadagnini, Maria Pia Bernardoni e Oliva Maria Rubio nell’ambito della open call lanciata da Fotografia Europea 2020, ci ha colpito, in particolare il progetto Atlas di Alessandra Baldoni, a cura di Gigliola Foschi, fondato sulla ricerca di un canone capace di rendere l’immagine potente e intrigante attraverso i secoli, di una matematica della bellezza che, come la marea, ritorna sempre. A pochi giorni dalla riapertura di Palazzo Da Mosto, purtroppo chiuso nuovamente per il passaggio a zona arancione, abbiamo posto alcune domande all’artista in merito al suo lavoro e ai progetti futuri.

Atlas (4), @Alessandra Baldoni, courtesy Zeit Gallery, Lucca

Il progetto che proponi a Palazzo Da Mosto s’intitola Atlas, con un chiaro riferimento al lavoro dello storico dell’arte Aby Warburg. Come sei entrata in contatto con Mnemosyne, il suo atlante della memoria?
L’incontro con l’Atlas Mnemosyne di Warburg è stato un vero e proprio colpo di fulmine, un innamoramento subitaneo e potente. Mi è capitato tra le mani il catalogo della mostra dell’Atlas curata da Didi-Huberman al Reina Sofía curiosando nella libreria di una persona da cui ero ospite e ci sono letteralmente caduta dentro, come Alice nel paese delle meraviglie. Sfogliando le pagine con le sessantatré tavole avevo la sensazione di aver scoperto un segreto, il senso profondo delle immagini, questo loro permanere sottotraccia e tornare riemergendo dall’acquosa materia della memoria, questo essere già depositate – sepolte in parte – dentro i nostri occhi. Una continua carica di senso, una intermittenza che si accende, lucciole che splendono nella notte dei secoli. Da qui è nato il mio Atlas, l’idea di intercettare somiglianze e assonanze tra le immagini del mondo, ricercare una matrice di bellezza e grazia. Mentre l’atlante di Warburg era composto di tavole con serie di immagini trovate e accumulate, riproduzioni di quadri, sculture, ritagli di giornali, carte, francobolli, le mie sequenze di Atlas sono fatte di dittici e trittici di immagini prodotte da me. È una mia personalissima catalogazione, una mappatura di territori non scoperti e trovati ma immaginati e creati.

Atlas, Cartografie del silenzio (5), @Alessandra Baldoni, courtesy Fondazione Dino Zoli, Forlì

Atlas è un progetto aperto, avviato nel 2016-2017 ed oggetto – o meglio soggetto – di mostre importanti, che coniuga tre diverse tipologie di immagini, tutte autografe: fotografie paesaggistiche di viaggio, scatti realizzati all’interno di spazi museali e ritratti in posa, caratterizzati da quella costruzione visionaria che da sempre anima il tuo lavoro. Quali criteri segui nell’abbinamento delle immagini per dare vita a dittici e trittici?
Lavoro ad Atlas da anni, il progetto cresce nel tempo ed è stato esposto in diversi spazi: a Spoleto con Add-art per la prima volta, poi a Berlino, a Bologna, a Milano alla Red Lab Gallery, alla Fondazione Dino Zoli di Forlì… Ogni volta ho presentato una cernitura del progetto, selezionando le opere secondo il carattere, il sentimento – in un certo senso per area semantica – secondo un taglio scelto in quel momento e per uno spazio preciso. Oltre ai paesaggi, agli animali ed a dettagli di opere fotografati nei musei, c’è anche una parte che riguarda i ritratti ed è quella costruita di sana pianta, messa in scena da me. Cerco la meraviglia, il respiro nascosto, lo sguardo che riconsegna un mistero. Avvicino le immagini costruendo i miei dittici e trittici secondo un criterio di assonanza e vicinanza, di contrasto, di continuità, di rima cromatica o formale. A volte gli accostamenti sono più espliciti, abbastanza evidenti, altre volte più sotterranei, segreti… vanno cercati, interpretati un po’ come il futuro in un’apertura dei tarocchi.

Alessandra Baldoni, Atlas, Palazzo da Mosto, Reggio Emilia

Il tuo progetto è allestito nel salone principale di Palazzo Da Mosto, caratterizzato dalla presenza del fregio esterno e degli affreschi (dedicati alle fatiche di Ercole) provenienti da un altro palazzo reggiano demolito negli anni Cinquanta. Sebbene le tue opere presentino uno sviluppo orizzontale, in questo caso ti sei trovata a dover ipotizzare anche un dialogo verticale. Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
Il salone di Palazzo da Mosto è bellissimo. E in un certo senso non potevo desiderare luogo più adatto per il mio Atlas. Intanto perché il rimando all’antico in una mostra d’arte contemporanea è molto warburghiano e poi perché mi ha permesso di instaurare un dialogo con l’antico. Alla lettura orizzontale degli abbinamenti montati in sequenza e alla linearità delle opere ho potuto aggiungere una ulteriore semantizzazione del lavoro innescando una narrazione verticale con gli affreschi: volti che chiamano volti, parti di corpi, vuoti e pieni, eroi, divinità e mortali. Questa possibilità mi ha fatto capire che vorrei spingere il progetto in questa direzione concettuale. Mi piacerebbe potermi confrontare con la classicità e l’antichità, innescare cortocircuiti visivi, tessere trame e pronunciare rime percorrendo questa strada.

Atlas (22), @Alessandra Baldoni, courtesy Red Lab Gallery, Milano

Aby Warburg ricercava la permanenza delle forme dell’antico nell’arte rinascimentale italiana e nordeuropea. Nel tuo caso, sebbene non si possa parlare di una ricerca puntuale dell’antico, si può tuttavia riconoscere un respiro di classicità…
In effetti credo sia legato alla mia formazione culturale e “sentimentale”, al liceo classico e allo studio della filosofia. È un canone luminoso, una misura esatta che mi porto dentro più o meno consapevolmente e che mi riconduce sovente all’antichità. Un sistema d’orientamento, una eco che risuona sempre in parti profonde della mia anima. Mi specchio e ritrovo in una certa regola, un’armonia che viene da lontano e che decide il mio sguardo, compone le forme, determina la metrica sottostante alle mie immagini.

Atlas (18), @Alessandra Baldoni, courtesy Add-art, Spoleto

Di quante opere si compone oggi il progetto Atlas? Come si è sviluppato nel tempo?
Atlas è un lavoro che si arricchisce e continua a crescere in più direzioni. Il corpus originario e centrale è composto di trentaquattro sequenze iniziate nel 2016 (l’ultima è di qualche mese fa) a cui si aggiungono due costole nate da committenze entrambe del 2019. Senza polvere e senza peso, diciotto sequenze, un progetto voluto dal Laboratorio di cultura fotografica di Città delle Pieve (PG), dedicato ai reperti del paleolitico nei musei e nei siti archeologici al confine tra Umbria e Toscana, e Cartografie del silenzio, dieci sequenze, commissionato dalla Fondazione Dino Zoli di Forlì, legato alla Sinagoga di Pisa e al Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna. Sono state due occasioni importanti per poter applicare e mettere alla prova “il metodo Atlas”, sconfinando in contesti particolari e spingendo la mia immaginazione a costruire narrazioni oltre le mie traiettorie.

Il futuro non è più quello di una volta, Alessandra Baldoni, in collaborazione con Covisioni, Perugia, Umbria, 2020

A quali progetti stai lavorando al momento?
Oltre a proseguire con corsi e lezioni (attualmente sto tenendo un workshop alla LABA di Rimini), sto lavorando a due progetti che in modo diverso hanno a che fare con la situazione che stiamo vivendo. Il primo si intitola Storie di occupazione domestica ed è nato durante il primo lockdown. Indaga l’inquietudine e l’ambiguità della dimensione della casa in un momento di forzata cattività; mette in scena i corpi – divenuti quasi fantasmi – come se si fondessero ed innestassero con le mura, le stanze, gli arredi… Il secondo progetto, Il futuro non è più quello di una volta, nasce in collaborazione con il collettivo Covisioni e l’agenzia Luz. Un viaggio in Italia diviso per regioni – io mi occupo dell’Umbria – con l’intento di raccontare come siano cambiate le cose e le relazioni sociali a causa del Covid. Una ricerca di ampio respiro che, una volta conclusa, prenderà la forma di un libro e una mostra, iniziata lo scorso maggio e della durata di un anno a cui vorrei dare un taglio poetico e metaforico, molto simbolico, che lasci intendere più che mostrare in senso stretto. Intanto, oltre ad Atlas a Palazzo Da Mosto fino al 26 marzo, una mia serie fotografica, Le cose che vedi, sarà presente fino al 3 aprile all’Etherea Art Gallery di Genova, all’interno della mostra collettiva Slide. Dal 24 al 28 febbraio sarò, infine, in una residenza artistica organizzata da Casermarcheologica, Sansepolcro, immersa nella natura valtiberina. Stati di grazia ha come tema centrale la fede in tutte le sue declinazioni e sono certa sarà un’esperienza incredibile.

Il futuro non è più quello di una volta, Alessandra Baldoni, in collaborazione con Covisioni, Perugia, Umbria, 2020

Si dice che il motto preferito di Warburg fosse “Il buon Dio alberga nel dettaglio”, proprio quel dettaglio nascosto che è chiave di volta di ogni tua opera…
Vorrei che le mie opere fossero fortemente indiziarie, enigmi da risolvere, nodi da sciogliere. Vorrei che fossero analizzate da uno sguardo attento, “lento”, che vada in cerca di segni dentro segni, sassolini nel bosco – dettagli per l’appunto – che possano svelare segreti, spostare significati. Si dice anche che il diavolo sia nei dettagli, le piccole cose non palesi ed evidenti che rovesciano e squadernano l’orizzonte di senso. Mi piacciono le immagini mai completamente risolte, perturbanti e fluttuanti, capaci di non esaurirsi ma di ricaricarsi ogni volta addensando e sovrapponendo interpretazioni e soluzioni.

Alessandra Baldoni, Atlas, Palazzo da Mosto, Reggio Emilia

 

ATLANTI, RITRATTI E ALTRE STORIE

6 giovani fotografi europei

Opere di Alessandra Baldoni, Alexia Fiasco, Francesco Merlini, Manon Lanjouère, Giaime Meloni, Denisse Ariana Pérez
A cura di Walter Guadagnini

Alessandra Baldoni. Atlas
a cura di Gigliola Foschi

Fino al 26 marzo 2021

Palazzo Da Mosto
Via Mari 7, Reggio Emilia

Info: +39 0522 444446
info@palazzomagnani.it
www.palazzomagnani.it

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