GALLIPOLI (LE) | Museo Civico Emanuele Barba | Fino al 31 agosto 2020
Intervista a LORENZO MADARO e ALBERTO GIANFREDA di Irene Biolchini
La mostra di Alberto Gianfreda, a cura di Lorenzo Madaro, dialoga apertamente con la collezione storica del Museo Civico E. Barba di Gallipoli. In questa intervista, il curatore e l’artista raccontano la costruzione del progetto Mirabilia.
La mostra racchiude opere realizzate in periodi molto diversi, interagendo con la bella sede espositiva. La Puglia è un luogo a te molto caro: come è stato questo ritorno “alle radici”? Ha influito sulla scelta dei lavori e sul tuo bilancio?
Alberto Gianfreda: Una mostra è sempre l’omaggio alle esperienze e Mirabilia nella sede del Museo Civico di Gallipoli è sicuramente il modo in cui riconosco alla Puglia affetti e origini. Non credo si potesse scegliere un luogo migliore di quello individuato con Lorenzo Madaro per parlare di passione e affetto verso l’uomo, la sua storia e le sue origini. Qui, infatti, sono esposti “oggetti” collezionati da E. Barba che uniscono tempi e geografie differenti sotto un unico desiderio, quello di raccontare con una visione l’uomo. Mescolare le sculture tra gli oggetti raccolti nelle teche ottocentesche è partecipare di un racconto dell’umano mettendo il mio sguardo dentro a un altro sguardo. La mostra è fatta di accostamenti che non cercano l’invadenza ma l’inserimento misurato che si rivela a chi ha la volontà di cercare.
Sono esposte complessivamente 17 sculture appartenenti al gruppo delle Pressioni, in terracotta e ferro, nate nel 2004 e le ceramiche recenti della serie Nothing as it seems. Entrambe le serie sono accomunate dalla volontà di lavorare sul rapporto tra l’icona, intesa come elemento riconoscibile e identitario, le stelle e i vasi, e la sua resistenza ad un evento deflagrante determinato, nel primo caso, dal processo di lavorazione e nel secondo dalla mobilità della scultura. Questa ricerca che indaga l’apparente contrapposizione tra distruzione e rafforzamento dell’identità si potenzia, in questo contesto, in relazione al valore del frammento musealizzato e reso immobile dalla sua archiviazione e catalogazione che poteva bastare a raccontare la storia di un’umanità apparentemente decodificabile secondo un’unica visione. In queste sculture, invece, il frammento si rivitalizza per tornare a partecipare alla rinnovata e costante esperienza del dover cambiare forma per esistere, come succede in maniera evidente per i “vasi rotti”, che si mostrano sempre diversi e sempre uguali a loro stessi.
Partner della mostra è anche Monza Arte Contemporanea presso la quale avevi allestito anche una tua mostra personale nell’anno passato. In che modo il lavoro iniziato un anno fa si estende in questa nuova ricerca?
Alberto Gianfreda: Ho collaborato con Maurizio Caldirola, fondatore di M.Ar.Co, in occasione della mostra personale Ornamenta. La mostra era completamente dedicata alla serie Nothing as it seems. Questa si basa sul principio di resilienza. Questo gruppo di lavori è nato precedentemente all’esperienza del lockdown per il Coronavirus. In quei tre mesi non sono potuto andare in studio e quando ho rivisto tutte le sculture, ho sentito la necessità di rimisurare tutto il peso che avevo attribuito alla parola resilienza. Ho creduto molto in questo termine al punto da fondare diversi anni fa con Ilaria Bignotti, Giuseppina Panza di Biumo e un gruppo di altri artisti il movimento “Resilienza Italiana”. Oggi guardo con maggior diffidenza verso questa attitudine che mi sembrava rispondere all’unica possibilità di reagire alle continue sollecitazioni provenienti dall’esterno. Quando sono tornato in studio mi mancava solo un lavoro per chiudere il progetto espositivo pugliese ed è nata Effimera II. Anche questa scultura nasce da un grande vaso che però non ricerca la sua forma originale ma cambia definitivamente, riorganizzandosi nella precisione del tondo. Se i vasi rotti e ricostruiti indagavano la capacità dell’icona di superare la sua stessa distruzione, in Effimera II è proprio la forma a cui approda la ricostruzione ad essere messa in discussione. Contemporaneamente questa scultura rimanda a quella perfezione rinascimentale della forma circolare, che continua a farci volere al centro l’umano, mentre nel museo è elevata come l’elogio al fallimento della specie. Una visione un po’ più disillusa della possibilità di resiliere e più cosciente della necessità di un cambiamento radicale.
Lorenzo, lavorando moltissimo sul territorio sei un profondo conoscitore delle diverse realtà regionali. Come è arrivata l’idea di far dialogare i pezzi di Alberto con la collezione di questo museo?
Lorenzo Madaro: Stupore, meraviglia, ma anche studiata progettualità, coesistenza – anzi, convivenza –, ricerca. Entrare nel Museo Civico “Emanuele Barba” di Gallipoli vuol dire affondare in uno straordinario spazio estremamente stratificato, che Alberto Gianfreda ha a lungo scrutato nella sua conformazione organica, eppure densa di molteplici visioni, ambivalenze, segreti, contraddizioni, collezioni. Questo luogo della visione – e delle visioni –, si presta infatti a un confronto serrato con la contemporaneità di un artista che negli ultimi anni si sta molto concentrando sulla ricomposizione di immaginari provenienti da differenti geografie, associandoli a una scultura mutante, mobile, con declinazioni sonore e spaziali.
Armi, reperti archeologici e piccoli animali, che costituiscono un fantastico zoo permanente, vivono nelle teche del museo, secondo una concezione museografica ottocentesca, intelligentemente preservata in questi ultimi decenni; numismatica, malacologia, talassologia, zoologia, mineralogia, ornitologia: sono tutti mondi che qui si uniscono e dialogano all’unisono. Il clima in cui il museo si è formato è quello del positivismo e la collezione è lo specchio di tale epoca, governata dalla ricerca della ragione attraverso gli strumenti della scienza, ma anche della pluralità degli interessi culturali, visivi e iconografici. Oggi questo museo nascosto è un luogo che va riscoperto, attraversato, indagato da chi transita da una terra di frontiera come il Salento contemporaneo. Il fine primario di Mirabilia è il confronto, il dialogo dialettico tra epoche e mondi differenti, che hanno nel display espositivo – e quindi nell’allestimento – un comune denominatore. Ho sempre amato molto il Museo Civico di Gallipoli, in tempi recenti l’ho rivisto e grazie alla sensibilità del sindaco della città, Stefano Minerva, dell’assessora Titti Cataldi e della direttrice del museo, Paola Renna – nostra compagna di viaggio per la mostra –, Alberto ed io abbiamo messo in piedi questo progetto.
Italo Calvino era convinto che «La collezione nasce del bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate, fuori dal flusso continuo dei pensieri». Quando l’allestimento della mostra si è concluso, ho pensato subito a questa riflessione.
Nel tuo testo evidenzi il tributo a Bonito Oliva e alla sua dichiarazione “L’arte contemporanea progetta il passato”. Qual è il passato che hai tentato di rimodellare con questa mostra? Quali le eredità che senti di far parlare attraverso la tua scelta?
Lorenzo Madaro: Rispettando la natura e l’impostazione della collezione museale e quindi dell’allestimento attuale del museo attraverso l’inserimento delle sue sculture, il progetto di Alberto si pone proprio come attività tesa alla sua stessa valorizzazione, mediante i processi plurali della sua pratica. Alla ricerca di connessioni apparentemente impossibili, che l’incontro tra epoche, stili, prospettive riesce a suscitare. E le sue opere riescono a interagire con il contesto, mimetizzandosi, entrando a far parte di un turbinio di forme, cromie, immagini nell’orbita della coesistenza. In fondo anche Gianfreda, così come i collezionisti proprietari delle raccolte oggi custodite in questo museo – e la loro vastità anche in termini di cronologie e stili e scelte dipende anche dalle differenti provenienze –, è un amante di oggetti speciali, con le opere del ciclo Nothing as it seems, infatti, trasforma irrimediabilmente consistenza e anima di vasi e oggetti di porcellana cinese, densi di decorazioni nell’orbita di un horror vacui che presagisce riflessioni sul multiculturalismo e la pluralità degli immaginari. Ma poi le disintegra, compie un estremo gesto, poi superato da uno step successivo. L’iper decorativismo di questi vasi di piccole e medie dimensioni viene decomposto e ripensato con un’anima costituita da catene, quasi uno scheletro che restituisce all’oggetto una nuova forma, multipla, mutante. Attraverso il suo impegno viene riattivata la memoria di quel luogo, così il pubblico sarà invitato ad addentrarsi, a scoprire le sue sculture nelle teche, il grande lavoro sospeso – quasi un festone, come accade, con forme diverse, nell’architettura barocca che è un tripudio di motivi floreali e non solo –, e la grande ceramica con le forme primigenie delle stelle: l’allestimento è suggerito dallo spazio e dalla fantasmagorica stratificazione di oggetti, suggestioni e sensi preesistente. A noi spetta il compito di comprendere le connessioni, anche le più segrete e imperscrutabili. Pur nelle sue evidenti conformazioni cromatiche e formali, le sculture di Gianfreda cercano di affrancarsi dal peso stesso della materia per diventare corpi apparentemente instabili, perciò Mirabilia conferma uno dei punti cardinali del suo lavoro: l’accurata ricerca verso la metamorfosi, quella della scultura che penetra gli spazi, senza modificarli, ma rileggendoli.
Alberto Gianfreda. Mirabilia
a cura di Lorenzo Madaro
26 luglio – 31 Agosto 2020
Museo Civico “Emanuele Barba”
via Antonietta De Pace 108, Gallipoli (Lecce)
orari: tutti i giorni dalle 10.00 alle 13.00 / dalle 17.00 alle 24.00