MILANO | Galleria Milano | Fino al 20 aprile 2017
Intervista a ALBANO MORANDI di Matteo Galbiati
In occasione della mostra personale Immagini rubate a memoria, che lo vede protagonista nella storica sede della milanese Galleria Milano, abbiamo incontrato l’artista Albano Morandi che si è generosamente concesso per questa intensa intervista. Ecco a seguire il riassunto della vivace conversazione avuta con lui sia sui contenuti specifici della mostra, sia quelli generali pertinenti una ricognizione generale della sua ricerca, dei suoi temi e delle sue visioni:
Immagini rubate a memoria è una mostra che hai pensato e hai preparato appositamente per la storica galleria Galleria Milano, che caratteristiche ha? Su cosa hai lavorato?
Da sempre il mio lavoro affonda le sue radici sulle relazioni, rapporti che uniscono passato, presente e futuro. In questa mostra diciamo che ho voluto svelare in maniera più diretta alcuni meccanismi. La suddivisione in tre parti del progetto mi ha permesso di toccare tre relazioni profonde che stano alla base del mio lavoro, la contaminazione tra il testo scritto, la musica e le immagini.
Il titolo può rimandare al Libro dimenticato a memoria di Vincenzo Agnetti, ci sono correlazioni?
Sai bene del mio amore per la poetica beckettiana della “Presenza dell’Assenza”, quindi non credo occorra aggiungere altro.
La genesi dell’opera risulta il frutto di un’iconografia originaria già presente nel tuo tempo e nella tua memoria, che valore hanno per te questi elementi e come caratterizzano tutto il tuo lavoro?
L’Arte può nascere solo dall’Arte, solo attraverso lo studio e la conoscenza del passato possiamo costruire un presente che apra al futuro.
Ogni cosa che il mondo ci mette a disposizione, sia essa oggetto, immagine, suono o parola, viene immagazzinata nella memoria. Tra la loro individuazione e la loro riutilizzazione può passare un tempo anche lungo, un tempo che serve ad assorbire l’essenza delle cose. Quindi tocca al processo analitico ricongiungere e ricollegare per riconsegnare al mondo la cosa con una nuova valenza e una nuova finalità.
Queste opere recenti cosa condividono con quelle precedenti e che elementi di novità possiamo leggervi?
Io sono abituato a lavorare per cicli, che passano e poi ritornano; spesso in funzione di elementi – le cose che citavo prima – che trovo nel mio quotidiano lavoro di flâneur/bricoleur. Quindi cicli di lavori nati anche dieci anni fa ritornano improvvisamente alla ribalta e si mischiano con cose nuove. Il filo conduttore che unisce, però, tutto il lavoro può essere sintetizzato da una frase rubata – vedi come questa parola torna spesso – al già citato Samuel Beckett: “Qui non c’è assolutamente nulla d’insolito, per quanto io possa vedere, eppure ardo dalla curiosità e dalla meraviglia”.
Ci racconti le tre sezioni in cui si divide la mostra?
Due nascono come interferenze con le Avanguardie storiche, la terza parla dell’incontro con alcuni padri spirituali.
Nel 2009 in occasione dei cento anni dalla pubblicazione del Manifesto Futurista, mi venne chiesto di realizzare una mostra che lo omaggiasse. Io, da insegnante di Scenografia in Accademia, avevo spesso chiesto ai miei studenti di lavorare sui testi del teatro sintetico futurista. Fortunato Depero è stato l’autore con cui più mi sentivo in sintonia. Dal suo testo Colori nasce, quindi, l’installazione di 42 carte presente in mostra. L’unico lavoro che non è nato apposta per questa esposizione.
Nell’estate del 2015 mi trovavo, per caso, nei pressi del Cimitero Monumentale di Milano, luogo che, per altro, non avevo mai avuto occasione di visitare. Ero in anticipo ad un appuntamento, faceva molto caldo e non avevo trovato un bar aperto. Decisi di provare a trovare un po’ di frescura tra i viali del cimitero. Mentre passeggiavo la magia della luce che colpiva i ritratti funebri mi obbligò a fotografare (con il cellulare!) alcune situazioni. Tornato a casa non mi curai subito troppo di quelle immagini. Fu solo dopo un discreto lasso di tempo che tornarono a irrompere nei miei pensieri, sovrapponendosi alla composizione musicale di Alberto Savinio Les chants de la mi-mort. Così nasce questa installazione che, con l’aiuto dell’accompagnamento sonoro di Luca Formentini, riflette su quella capacità estatico-metafisica che Alberto Savinio e Giorgio De Chirico definirono come “mezza-morte”, situazione che ci permette di cogliere dimensioni altrimenti non percepibili in condizioni di normalità.
In mostra una sezione mostra un dialogo-confronto con artisti di generazioni diverse e diversi per linguaggi. Chi sono come li hai scelti e perché?
La terza sessione, appunto, che ho intitolato Mimetica, vuole porre l’attenzione sul culto dell’artista, uno dei peggiori difetti di molta arte moderna e per moderno intendo proprio quel periodo che parte dal 1400, in cui fiorisce il culto della personalità, e che sfocia nella seconda parte del secolo scorso, quando si delinea un vero e proprio culto dell’Ego, quando è la firma, e non la qualità dell’opera, a costruire il mercato dell’arte.
L’opera costruita con una copia di Alessandro Bonvicino detto il Moretto – artista tra i più conosciuti della mia città (Brescia n.d.r.) – sottolinea la partenza lontana, mentre le opere realizzate con la partecipazione consapevole di artisti amici come Lucio Pozzi, Renato Ranaldi, Tomas Rajlich e Vincenzo Cecchini, artisti della generazione dei miei genitori, vuole evidenziare come, dalla volontà di unire, attraverso quel metaforico passaggio da una stanza all’altra, le menti di alcune personalità artistiche complici, si possa realizzare un “delitto perfetto”. Una riflessione a parte merita il lavoro fatto con l’inserimento di un multiplo di Blinky Palermo, artista che per motivi anagrafici non ho potuto conoscere direttamente, ma che, come gli atri quattro citati in precedenza, è una sorta di padre spirituale del mio lavoro.
Cosa intendi per ispirazione artistica? Dove e come nasce?
Non credo all’ispirazione intesa come dono divino, penso sia più una questione di atteggiamento. Ti faccio un esempio: l’improvvisazione, come forma musicale, che la musica jazz ha contribuito a sviluppare durante tutto il secolo scorso, ben si addice ad esemplificare il mio pensiero. Si parte da qualcosa di pre-esistente, una melodia e poi, attraverso un atteggiamento di disponibilità, si sviluppano le armonie, anche in interazione con altri strumenti, fino a costruire altre e nuove melodie. Ecco credo che il termine più giusto per parlare di ispirazione sia quello di disponibilità. Disponibilità ad aprirsi alle cose del mondo per vederne l’essenza e non la pura apparenza. A tal proposito mi fa piacere citare una frase di Federico Fellini: “Per un artista sensuale tutto inizia da un contatto fisico con la realtà”. Ed è proprio da Federico Fellini che ho mutuato il termine disponibilità.
Cosa guarda la poetica delle tue opere? Quali corde profonde tocca?
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Potremmo definirla una riflessione su quell’infinito telefono senza fili o passaggio di testimone o circolo di interlocutori sparpagliati nel tempo e nello spazio che è l’arte in cui l ‘opera è vista come reincarnazione. Il mio intento è quello di rivolgermi allo spettatore in modo da riportare alla coscienza cose che egli già sa, ma non sa di sapere.
L’uso dei materiali sembra essere un parametro molto importante: cosa usi e come lavori la “materia”, semplice eppur complessa nell’esito finale, delle tue opere?
La materia è la base da cui partire. Il ready-made, sia esso concreto o mentale, è il punto primo da cui nascono le intuizioni. L’occhio è l’elemento primario, lui vede e sceglie. Quindi, con l’atteggiamento di disponibilità, di cui ti parlavo prima, ascolto ciò che la materia mi suggerisce e quindi agisco con l’improvvisazione, sia attraverso la somma che la sottrazione di elementi formali. In alcuni casi anche solo scegliendo un oggetto o un’immagine e inserendolo nel contesto artistico.
Quali sono i prossimi tuoi progetti?
Il prossimo 20 aprile inauguro una mostra a Bucarest, il titolo riprende quello di un libro-catalogo che ho pubblicato nel 2006 – come vedi i cicli tornano – Manifesto per un Dadaismo Ludico Lirico. Quindi sto iniziando a pensare al progetto della prossima tappa – la dodicesima – di Meccaniche della Meraviglia. Ma di questo mi piacerebbe parlarti in maniera più approfondita una prossima volta.
Albano Morandi. Immagini rubate a memoria
catalogo Corraini Edizioni con testi di Nicoletta Boschiero, Giovanna Dalla Chiesa e Elena Di Raddo
2 marzo – 20 aprile 2017
Galleria Milano
via Manin 13, Via Turati 14, Milano
Orario: da martedì a sabato 10.00-13.00 e 16.00-20.00
Info: +39 02 29000352
info@galleriamilano.com
www.galleriamilano.com