RAVENNA | FONDAZIONE SABE PER L’ARTE | FINO AL 17 DICEMBRE 2022
Intervista a PASQUALE FAMELI di Maria Chiara Wang
Il binomio arte ed ecologia, oggetto anche della recente 18° Giornata del Contemporaneo, è quanto mai attuale e rilevante. Come può la ricerca artistica venire in soccorso alle urgenze legate ai problemi ambientali che siamo chiamati ad affrontare e gestire? La mostra Modulare lo scarto, personale di Enrica Borghi a cura di Pasquale Fameli, presso la Fondazione Sabe per l’arte (RA), offre lo spunto per affrontare tali tematiche e calarle nella pratica specifica dell’artista verbanese.
Abbiamo appena lasciato alle spalle la 18° Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI – Associazione dei Musei Contemporanei Italiani che ha avuto come filo conduttore il “tema dell’ecologia, connesso a quello della sostenibilità: urgenze globali che ci mettono di fronte alla necessità di ripensare il sistema dell’arte contemporanea tramite una rinnovata consapevolezza e una più diffusa sensibilità”. In che modo e misura la ricerca artistica di Enrica Borghi abbraccia queste tematiche?
Si tratta di un aspetto senza dubbio rilevante: sin dai primi anni Novanta, infatti, Enrica Borghi lavora con scarti ed eccedenze industriali anche nell’ottica di una decongestione dell’ambiente da questa sovrapproduzione inquinante. Si può considerare una strategia per convertire lo spazio dell’arte in spazio ecologico, di accumulo e di rigenerazione dei materiali stessi. La reinvenzione di questi oggetti in chiave decorativa, attraverso tecniche che vanno dall’arazzo al mosaico, provvede a una riabilitazione radicale, conferendo loro una valenza opposta: da possibili cause di inquinamento, essi diventano apparati estetizzanti che valorizzano gli spazi costruiti dall’uomo e li rendono più accoglienti e piacevoli. Ma alla base del lavoro di Borghi vi è soprattutto una tensione “alchemica”, una fascinazione per i processi trasformativi della materia, che ha certo le sue radici nell’Arte povera, ma si differenzia nettamente da essa per la spiccata preziosità artigianale e ornamentale.
Riciclo come modus operandi dell’artista, ovvero, le stesse opere realizzate a partire da materiali di scarto vengono a loro volta restaurate tramite un processo di “riciclo interno”: come?
Questo aspetto riguarda soprattutto una delle opere in mostra, Muro, allestita a terra, per l’occasione, in modo da assumere le sembianze di un pavimento a mosaico rinvenuto da uno scavo. L’artista ha rotto la regolarità dello schema originario, aprendo le losanghe in più direzioni, tracciando così una sua spazialità imperfetta. Nel corso dell’allestimento ho potuto notare che i moduli di cui è composta sono molto fragili e capita che si danneggino negli spostamenti da una sede espositiva all’altra. Così l’artista si trova a intervenire ogni volta con piccole operazioni di restauro, riutilizzando elementi desunti dai pezzi corrotti per crearne di nuovi. Si tratta di un processo di rigenerazione che si basa sempre sul principio di un recupero dello scarto, ma compiuto stavolta all’interno dell’opera stessa.
La modularità è un altro elemento che caratterizza la pratica artistica di Enrica Borghi tanto da poter inserire questa sua personale a pieno titolo nell’ambito di Ravenna Mosaico – VII Biennale di Mosaico Contemporaneo. “L’artista – cito il comunicato stampa della mostra – intrattiene da anni un dialogo con la tecnica del mosaico, aggiornata tanto nei materiali quanto nei significati”: in che modo e con quali risultati?
Quella del mosaico è una pratica antichissima, ma l’attualità della sua struttura logica è incontestabile: penso soprattutto al carattere discreto e discontinuo delle immagini digitali che ci passano continuamente davanti agli occhi, a milioni, giorno per giorno. Già a metà degli anni Sessanta, Marshall McLuhan aveva definito l’immagine televisiva come una sorta di mosaico elettronico. L’alta definizione dei televisori odierni rende ormai impercettibile questa logica strutturale, ma molto spesso i malfunzionamenti o le immagini a bassa definizione ce la ricordano, la rivelano, la evidenziano. Penso al lavoro di Borghi come a una sorta di corrispettivo materiale di questa struttura discontinua, paradigma della visività contemporanea. Nella monografia Eco. Enrica Borghi, pubblicata tre anni fa, Lorella Giudici descrive l’opera di cui parlavo prima, Muro, come una composizione di moduli caleidoscopici formati da colonie di cioccolatini o di pixel digitali. Per me è stata un po’ una conferma. Lo stesso si può dire per un’altra delle opere in mostra, Mandala, composta da una miriade di tappi in plastica e gocce di vetro, di quelle che si possono comprare in qualsiasi merceria: i singoli elementi brillano costituendo un insieme unitario, quasi come uno schermo accesso a forma di stella. Molta della produzione di Borghi si basa comunque sulla composizione di forme per accostamento di elementi omogenei, siano essi colli di bottiglia o palline di polistirolo rivestite di cartine in alluminio colorato.
Le sculture di Enrica Borghi prendono vita negli spazi della Fondazione Sabe, sfruttandone tutte le potenzialità. Quali sono stati i criteri allestitivi – al di là della coerenza rispetto al contenuto – che hanno guidato la progettazione e la realizzazione di questa mostra?
Ho voluto che ci fosse molto respiro intorno alle opere, in modo da valorizzarne la struttura, ma anche da permettere al visitatore di osservare ogni pezzo con la giusta attenzione e da più punti di vista. Una delle caratteristiche principali della ricerca di Enrica Borghi riguarda proprio la trasformabilità dell’opera, la possibilità di riconfigurarla per adattarla ogni volta alle condizioni dello spazio espositivo. Così ho selezionato pochi pezzi, compatibili con il tema della biennale ravennate, per dare l’idea che le combinazioni e le dislocazioni potessero essere molteplici senza tuttavia sovrapporsi. Ho pensato fosse un modo discreto per suggerire la loro potenziale mutevolezza. Alle due opere più schematiche e modulari, le già citate Mandala e Muro, ho voluto accostare altre tre opere, la Stola e i due Corpi plastici, che invece si distinguono per l’estrema flessibilità. Sono superfici e volumi che si arrotolano e si piegano a piacimento, contrastando con le geometrie delle altre opere. Nel complesso ho voluto stabilire delle alternanze tra piani verticali e orizzontali, privilegiando però i secondi, per sottolineare l’anti-monumentalità della scultura contemporanea.
Per l’occasione, la Fondazione ha avviato una collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, con l’obiettivo di coinvolgere attivamente studentesse e studenti nelle fasi di preparazione della mostra: quale tipo di riscontro avete ricevuto? Quanto mancano ai nostri percorsi formativi istituzionali esperienze dirette e partecipate come questa e quanto invece sono importanti per acquisire consapevolezze e capacità pratiche oltre a quelle teoriche?
Credo sia un’esperienza fondamentale che andrebbe incentivata, perché si dà a studentesse e studenti la possibilità di misurarsi con le effettive condizioni di lavoro, con precise tempistiche e con le reali aspettative di un curatore e di un artista. Si dà loro l’opportunità di confrontarsi con professionisti affermati direttamente sul campo, di comprendere cosa significhi davvero lavorare a un allestimento e di come si affrontano gli imprevisti del momento, sempre in agguato. Siamo stati molto contenti del lavoro svolto con precisione e attenzione dalle studentesse dell’Accademia di Ravenna e senz’altro proseguiremo con questa collaborazione, formativa e arricchente per tutti quanti.
Il progetto espositivo sarà completato da un catalogo edito da Danilo Montanari e arricchito da altri eventi organizzati nel corso del periodo di apertura della mostra: puoi offrirci un’anticipazione dei contenuti sia del testo che del programma integrativo sopra menzionato?
Nel testo steso per il catalogo tento di posizionare la ricerca di Enrica Borghi all’incrocio tra il recupero attualizzato del mosaico e l’estetica della bassa risoluzione, un paradigma culturale attualissimo che scaturisce dalla riduzione qualitativa dei beni di consumo a vantaggio di una maggiore accessibilità. Mi pare che il suo lavoro rifletta questa condizione culturale soprattutto nella scelta di realizzare opere incredibilmente preziose e piacevoli con materiali a basso costo e di scarso valore sia estetico sia economico. A partire da questa osservazione evidenzio poi numerose altre ambivalenze o polarità che caratterizzano la poetica di Borghi: l’incontro tra ready-made e decorazione, per esempio, o quello tra la bidimensionalità dei pattern e la corpulenza degli oggetti impiegati. Ampio spazio è dedicato poi all’analisi delle singole opere in mostra, anche nell’intento di individuare taluni ascendenti storici. Il programma integrativo comprende alcuni incontri, uno dei quali avrà come protagonista la stessa Borghi, che parlerà del suo percorso artistico in dialogo con me e con Daniele Torcellini, direttore artistico della Biennale Mosaico di Ravenna, il quale ha steso a sua volta un contributo critico per il catalogo della mostra.
Enrica Borghi. Modulare lo scarto
A cura di Pasquale Fameli
1 ottobre – 17 dicembre 2022
Fondazione Sabe per l’arte
Via Giovanni Pascoli 31, Ravenna
Ingresso libero
Orari: giovedì, venerdì e sabato ore 16-19