Giorgio Bormida da Savona
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
In questo periodo di pandemia, costretti ad indossare mascherine, perdiamo i tratti che ci distinguono. Rimangono visibili solo gli occhi. Anche gli sguardi sono cambiati, più tesi nel voler individuare, in un passante, un nostro amico, un conoscente, un estraneo. Sappiamo inconsciamente che anche la nostra immagine per gli altri è diversa. Per questi motivi, lo specchio che riflette la mia immagine quando entro ed esco di casa è diventato lo strumento di un rituale con cui mi riapproprio dei miei caratteri, senza maschere. Ogni giorno lo specchio scansiona il mio viso, registra le minime variazioni di espressione, di umore e, in un secondo, mi restituisce il suo giudizio. Naturalmente è un referto istantaneo, non durevole e definitivo, virtuale e liquido come lo schermo del computer, mentre compongo pazientemente le immagini dei miei lavori. Ecco due modi diversi di specchiarsi: paradossalmente lo “specchio” più veritiero è quello del computer, che riflette pensieri, emozioni, mutamenti e immagini interiori. Uno specchio in cui mi riconosco, che rende più chiari i contorni della mia identità. Non a caso ho intitolato Mirror una piccola serie di opere realizzate in questi mesi.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
In un periodo storico in cui tutto è accelerazione fuori controllo, la pandemia ci ha costretti a delimitare spazio e tempo. Dopo il disagio che si prova davanti al cambiamento improvviso di ritmi ed abitudini, ho scoperto il valore della pazienza nel riordinare e selezionare il mio percorso artistico ed i miei lavori. Il tempo è una componente importante nella costruzione di ogni mia immagine, il tempo fatto di minuti, ore, il tempo della mia vita che si concentra mano a mano che lavoro in un punto, un istante, un’immagine, una sequenza di immagini, una successione di numeri… i numeri dell’esistenza… Credo che il “mio tempo”, quello della “lettura” di un mio lavoro richieda, inevitabilmente, pazienza. In un mondo liquido e rapido come il nostro si sta perdendo questa dimensione.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Certamente si può vivere con meno mobilità, soprattutto in ambito lavorativo. L’unica mobilità che serve è quella della mente.
Artista e musicista, Giorgio Bormida (Cengio, 1969) vive a Savona.
Si diploma nel 1994 in scenografia all’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona. Dal 2004 al 2008 è scenografo realizzatore presso il Teatro Carlo Felice di Genova. Nel 2005 con Atto Unico realizza la stanza di Madame Curie per Children of Uranium di Peter Greenaway e Saskia Boddeke. Nel 2012 esce il suo primo libro Opera curato da Barbara Steele per Vanillaedizioni. Nel 2016 la sua prima personale VIXI presso Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea, mostra premio di Arteam Cup 2015. Nel 2017 in collaborazione con Emsteludanza e Vanna Varnero crea il Nombril Project realizzando [2018] l’installazione visual della performance Muêë. Negli ultimi anni ha dedicato ricerche ed elaborazioni del mondo della fotografia prima dell’avvento del colore attraverso le vecchie foto di famiglia. Sono state oggetto di attenzioni e premi: L’Oeil de la Photographie, Black & White Spider Awards, ND Awards, Square Magazine, Photographize, Monovisions, Fine Art Photography Awards, Circle Quarterly Art review, Art Reveal Magazine, Eye Photo Magazine. Recentemente ha fatto parte del “Piano Microstories – The Eighth Note” per il compositore Fabrizio Paterlini. www.giorgiobormida.com