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Giacomo Costa da Firenze

La tua nuova ritualità quotidiana…
Alzarmi all’alba come sempre potendo però restare tutto il giorno in vestaglia senza preoccuparmi di dover interagire con nessuno.

Come è cambiato il tuo modo di lavorare?
Ad onor del vero molto poco, da più di vent’anni vivo chiuso nel mio immaginario e nel mio studio, davanti ai computer, dove passo la mia vita in una sorta di volontaria e necessaria reclusione. Fare le mie immagini richiede un’enorme quantità di ore di lavoro e di studio quotidiano e il mio amore morboso per la casa e la sedentarietà fanno il resto.
Per questo ho passato tutta la mia vita di artista a costruirmi un mondo nel quale vivere solo io proprio per distaccarmi il più possibile dalla realtà che mi circonda e che osservo quasi esclusivamente attraverso le informazioni che trovo in rete.
Quello che viceversa la quarantena sta cambiando è che adesso tutti vivono isolati nel loro mondo come a me succede da tanto tempo e questo sta spostando la sensibilità dalle grandi prospettive all’intimità della vita quotidiana quasi fosse un ipotetico nuovo confine.

Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Credo che abbiamo vissuto anni in cui ritenevamo che ci si dovesse muovere continuamente e che questo non avesse un costo collettivo e che la presenza fisica nei luoghi fosse l’unica strada percorribile. Viceversa nelle realtà più evolute il lavoro da casa, le relazioni a distanza e ogni forma di interazione non fisica sono molto sviluppate. Certo c’è chi dice che questa metodologia porti all’isolamento e all’alienazione ma credo viceversa che ci si possa concentrare su dinamiche di prossimità mantenendo interazioni virtuali su scala globale e scegliere di spostarsi per motivazioni forti.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Non credo che la soluzione stia nella virtualità. Come dicevo, ci sono situazioni che richiedono la presenza fisica e altre che sono sostituibili da dinamiche virtuali; credo che l’arte non si possa fruire sullo schermo del computer e spero quindi che l’irrefrenabile bisogno di arte che si sta manifestando in questo periodo si trasformi poi nel tornare a vivere i luoghi dell’arte quali gallerie, musei, studi di artista che erano diventati deserti ben prima della quarantena.
Quindi la mia strategia sarà ricordare con altrettanta enfasi a tutti i fan delle dirette Facebook, delle gallerie virtuali, delle mostre online di venire a vedere le nostre mostre fisiche quando si potrà liberamente circolare.

Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Quando tutto questo sarà finito vorrei ci si ricordasse degli artisti tutto l’anno mentre una cosa da non fare mai più è accorgersi delle difficoltà del mondo dell’arte solo quando c’è una pandemia…

Giacomo Costa (Firenze, 1970) si è dedicato al motocross e poi all’alpinismo. In montagna ha scoperto la fotografia e fin da subito si è appassionato all’elaborazione delle immagini con strumenti analogici per poi approdare nel 1995 all’uso del digitale. Dal 2002 crea tutti i suoi scenari integralmente con software 3d. Nel 2006 ha esposto alla Biennale di Architettura di Venezia e nel 2009 in quella di Arti Visive. Nel 2008 è uscita la monografia “The Chronicles of Time” edita da Damiani con prefazione di Lord Norman Foster e nel 2020, sempre con Damiani, è stata pubblicata la nuova monografia “A Helpful Guide to Nowhere”. Il suo lavoro e rappresentato da Guidi&Schoen di Genova, Galerie Vöss di Düsseldorf e nm>contemporary a Montecarlo. www.giacomocosta.com

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