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Enrico Carlo Bonanate da Torino

La sua nuova ritualità quotidiana…
Se non fosse stato per il dramma che stavamo vivendo potrei dire che questo periodo è stato persino bello. Ho trascorso il lockdown con i miei affetti più cari – Lucia, la mia compagna e Antonio, il nostro bassotto – nella nostra luminosa casa di Torino e, in casa, ho continuato a lavorare, perché la parte burocratica e amministrativa del mio lavoro (la più “noiosa”…) non poteva andare in quarantena. Per il resto del tempo abbiamo mangiato tanto e siamo ingrassati tanto, aperto le migliori bottiglie della nostra cantina per i rituali aperitivi virtuali con gli amici, applaudito e cantato dai balconi, pulito casa, riletto vecchi libri, ascoltato buona musica e fatto maratone di interminabili serie tv, fantasticato sui nostri prossimi viaggi… Ci siamo preoccupati per le persone a cui vogliamo bene, che per fortuna stanno tutte bene, tagliati i capelli a vicenda, abbracciati nei momenti tristi… A dire il vero a volte ci siamo anche annoiati, ma abbiamo imparato ad apprezzare la noia. E, poi, tanti altri piccoli momenti familiari e grandi gesti di solidarietà sociale che non potrò mai dimenticare, così come non scorderò mai il silenzio e la drammatica, però magnifica, bellezza di Torino deserta.

Com’è cambiato il suo modo di lavorare?
Al di là del passaggio alla sfera digitale e della drastica riduzione della mobilità, una ovvia sensazione di incertezza rispetto al futuro è contemporaneamente stata portatrice di una grande gettata immaginativa e di molte riflessioni sul lungo periodo. Sarebbe falso e retorico parlare di “il lato positivo” della situazione, ma va detto che, nel lavoro, è interessante osservare come cambiano le dinamiche quando le scadenze e le possibilità di progettare si spostano più avanti nel tempo, un tempo inedito e dalle caratteristiche incerte. Direi che più di aver modificato le mie modalità di lavoro, ho cercato il più possibile di adattarne la forma mentis a questo momento di grande incertezza globale, in cui credo sia più che mai importante rispettare i tempi della natura e non piegarli alle logiche del mercato globale contemporaneo, che sono quanto di più antropocentrico si possa pensare.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le sue “strategie” per instaurare nuove relazioni? 
Come abbiamo scritto nel nostro Pav Bullettin, con il lockdown ci siamo scoperti meno immateriali di quanto pensassimo. All’inizio, pur apprezzando veramente il lavoro “social” di molti musei e operatori del settore, mi sono sentito un po’ frastornato da tutta questa offerta virtuale d’arte e ho preferito fermarmi e fermare le comunicazioni del PAV. Solo dopo un periodo di riflessione e di rigenerante silenzio, ho ritenuto di riavvicinarci al nostro pubblico con discrezione, elaborando alcuni format dedicati al digitale (le tre sezioni del PAV Bullettin e alcune iniziative specifiche per Instagram come le storie quotidiane “Pillole di PAV” e il challenge #pavnatureinlockdown). Con lo Staff del PAV stiamo sviluppando altri progetti virtuali per il futuro, tra cui uno dedicato ai giovani artisti, ma dobbiamo confessare di non amare molto questa dimensione, nonostante ci siamo adattati a implementarla per l’eccezionalità del momento. Sicuramente rimarrà qualcosa di buono, ma non dobbiamo dimenticare che la produzione artistica ha i suoi luoghi e i suoi spazi di relazione specifici. Le “nuove” relazioni devono essere funzionali a non spezzare le vecchie relazioni con lo spazio e le comunità, non sostituirle.

Come immagina il mondo, quando tutto ripartirà?
Preferisco parlare della direzione in cui mi auguro andrà il mondo nel momento in cui si potrà veramente ripartire. Non direi nulla di nuovo se cominciassi a parlare di un diverso rapporto con l’ambiente, di una concezione meno dicotomica tra natura e cultura, di un’economia differente, non orientata a meccanismi di crescita feroci ai danni dell’ambiente, degli animali e delle persone. Non direi davvero nulla di nuovo, se cominciassi a parlare di relazioni più empatiche, di una società diversa. Al PAV portiamo avanti questi principi, queste battaglie, da più di dieci anni. Vorrei che il mondo somigliasse di più all’immaginazione e all’impegno civile che sta dietro al nostro lavoro. Vorrei che non si considerassero più i moniti della scienza come preoccupazioni di poco conto. Questo è il momento di pensare al riscaldamento globale e alla tutela del pianeta Terra.

Enrico Carlo Bonanate nasce a Torino nel 1977 ed è il Direttore del PAV – Parco Arte Vivente, Centro Sperimentale di Arte Contemporanea di Torino, ideato da Piero Gilardi. Attivo nell’associazione culturale PAV fin dalle origini, da sempre grande appassionato di arte contemporanea e di “mondo vegetale”, nel 2015 decide di abbandonare definitivamente la carriera di avvocato amministrativista per lavorare con l’arte e la natura.
www.parcoartevivente.it

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