Angelo Marinelli da Roma
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
In questi giorni non posso che pensare e sperare che l’umanità, almeno quella che continua la propria vita, seppur in confini limitati e al di là di ospedali e terapie intensive, sia giunta ad un punto di fine. È come se il tempo che avevamo a disposizione sia terminato e questo momento di sospensione serva a ricaricarlo. Serva a restituirci una dimensione che, per quanto possa sembrare catastrofica al momento, ci riporta coscienti del nostro ruolo di uomini, piccola parte nel grande disegno della natura. La pandemia ha appannato anche la visione del futuro prossimo e, come in una nebbia fitta, ha reso il nostro cammino sicuro solo se legato al singolo passo. Le giornate si alternano uguali, in un susseguirsi di pasti e riti domestici che sembrano riportarci giorno dopo giorno nella coscienza dell’ingranaggio del tempo. In questi giorni sto scoprendo che quella che era una delle mie fobie, un virus che si diffonde tra il genere umano mietendo vittime, mi spaventa meno adesso che la sto vivendo. La paura, oggi, lascia spazio alla coscienza e alle ferite del vivere questo “brutto fatto”. Oltre a ritrovarmi senza armi di fronte a quanto sta accadendo, come tutti, inizio a percepire di essere parte di un flusso, a cui non ci si può opporre.
Devo restare a casa, posso limitare il contagio e sperare che il virus non tocchi le persone a me più care, ma non posso rimanere immune nell’intimo. Questo virus credo tocchi i punti più delicati e, tra tutti, quello che sicuramente ci rende più fragili: la solitudine.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
In questi giorni il lavoro è fermo per cause di forza maggiore. Organizzare un set fotografico è fisicamente impossibile, così come lo sono le mie esplorazioni. La mente inoltre è in quel limbo di sensazioni di cui parlavo prima: iniziate le prime restrizioni mi sono ripetutamente chiesto se fosse il caso di uscire, “osservare” la Città Eterna nel suo isolamento e, seppur da sempre attratto da luoghi abbandonati, questa volta il racconto dell’assenza sarebbe stato privo di immaginazione. In questo momento di allontanamenti, il vuoto poi è già troppo ingombrante e, più che raccontarlo, avrei bisogno di riempirlo con delle storie. Quell’ascolto visivo, di cui si nutre il mio lavoro, si è trasformato nel bisogno di sentire delle storie raccontate da quella generazione colpita più duramente dal virus: gli anziani. Storie di un passato che potrebbero costituire il punto di partenza per un nuovo inizio e che invece rischiano di essere dimenticate.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Mentre viviamo questo inverno interiore, per assurdo, fuori è iniziata la primavera. Quasi a volerci sottolineare che il mondo va avanti anche quando noi ci fermiamo; ogni singola pianta, in una calda Roma, è esplosa. Consapevole del nuovo ingranaggio, mi adeguo ai suoi ritmi, e il tempo che mi resta tra la cucina e ogni genere di panificazione possibile, lo dedico al mio piccolo balcone. In questi giorni ho avuto modo di riorganizzarlo e ricreare un piccolo angolo di vita di cui prendersi cura. Probabilmente a breve mi troveranno a chiacchierare con il basilico.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
“La vita come la conosciamo è finita, e tuttavia nessuno è capace di capire da cosa sia stata rimpiazzata”: è stata questa la sensazione che ho avuto a pochi giorni dalla diffusione del virus. Eravamo ancora per strada e non avevamo cambiato nulla della nostra quotidianità ma già si percepiva questa sensazione.
Oltre alla profonda crisi economica, che sicuramente colpirà tutti, temo che quello che maggiormente cambierà sarà il nostro modo di viaggiare. Il mondo della seconda globalizzazione che abbiamo conosciuto è molto probabile che non torni più lo stesso. Probabilmente muoversi non sarà più così semplice come lo è stato fino ad oggi. Qualcuno ha scritto che, anche a causa dei crolli del prezzo del petrolio, il turismo cambierà profondamente e si ridurrà a un turismo di prossimità come negli Anni ’50. Questa immagine del nuovo mondo da un lato mi rincuora (anche il viaggio, come tante altre cose, stava perdendo il suo valore profondo), dall’altro lato mi terrorizza: credo che per un artista l’idea di non poter fare esperienza del nuovo, del lontano, sia difficile da affrontare. Staremo a vedere cosa accadrà.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Chiedere ad un pugliese trapiantato a Roma in isolamento cosa gli manca può avere una sola risposta: mi manca terribilmente il mare. Il suo azzurro, l’odore che riempie il respiro e il rumore delle onde trasportato dal vento. La sua vastità e il suo metterci di fronte al nostro essere minuscoli. Quel mare che è l’unico luogo possibile dove esser soli.
Angelo Marinelli, nato a Monteiasi (TA) nel 1979, è un fotografo che eredita la passione dal padre e sin da piccolo si avvicina alla macchina da autodidatta. Durante i primi anni del 2000, oltre a studiare, Angelo lavora come grafico e fotografo, è in questo periodo che affina le tecniche di illuminazione e di post produzione. Tra il 2010 e il 2013 vive in Asia e da lì intraprende una serie di viaggi che lo porteranno ad ampliare il suo panorama artistico culturale e, al contempo, a rafforzare le sue origini. Nel 2018 è il vincitore assoluto di Arteam Cup. Oggi è art director di Artist Proof Communication Lab di Roma. www.angelomarinelli.com