57. BIENNALE ARTE 2017 | PADIGLIONE AUSTRALIA | 13 maggio – 26 novembre 2017
Intervista a TRACEY MOFFAT di Matteo Galbiati*
L’Australia Council for the Arts ha scelto, attraverso un comitato di cinque membri (Naomi Milgrom, commissario australiano per la Biennale di Venezia 2017; Nicholas Baume, direttore e curatore del Public Art Fund di New York; Rebecca Coates, curatore indipendente e regista esecutivo presso Shepparton Art Museum; Lisa Havilah, direttore al Carriageworks; Chris Saines, direttore di QAGoMA), Tracey Moffatt (1960) e la sua ricerca fotografica per rappresentare l’Australia alla 57. Biennale di Venezia. Colto con sorpresa ed entusiasmo l’invito, l’artista ha scelto di lavorare ad un grande progetto espositivo pensato appositamente per il proprio padiglione nazionale.
La fotografa si presenta in laguna con le credenziali di un percorso artistico lungo 25 anni che ne ha qualificato la ricerca accreditandola come uno dei talenti più significativi dell’arte australiana contemporanea, la cui fama ha avuto modo di estendersi e affermarsi in ambito internazionale. Prima artista “indigena” a rappresentare la nazione australiana a Venezia, la sua fotografia si indirizza all’esplorazione di emotività ed esperienze umane nella loro ricca variabilità, ponendo spesso l’accento sul concetto di razza, di identità, di appartenenza sociale, senza trascurare neppure gli stereotipi culturali che attraversano il presente. Le sue storie per immagini si raccontano giocando sull’artificio, l’allusione, il mito e smantellano ogni corroborante e canonico schema narrativo convenzionale. Abbiamo posto a Moffatt brevi domande sulla sua partecipazione all’atteso appuntamento veneziano:
Le opere esposte al Padiglione Australia sono molto diverse, cosa ci presentano della sua ricerca? Quali pensieri e riflessioni vogliono suscitare? Come si rivolge il suo orizzonte ad un pubblico globale?
Il titolo della mia mostra resta molto aperto e può essere interpretato in differenti modi. My Horizon può riguardare i nostri limiti oppure il desiderio stesso di superarli. Può essere inteso come il raggiungimento di un “confine” o costituire la fuga da quel confine verso il regno della propria immaginazione. Può significare sognare. Pertanto penso che il mio tema possa risuonare attraverso molte e diverse culture e spero che queste possano percepire nella mia visione umore ed emozione.
La sua espressione si avvale di diverse sperimentazioni stilistiche e formali desunte da linguaggi e codici differenti come la fotografia, il cinema, le arti… Che racconto, intenso e forte, se ne ricava?
Non riesco a individuare alcun vecchio film o fotografia che mi influenzino particolarmente. Invece provo a inventare il mio linguaggio visivo, mi muovo molto con la macchina fotografica e dirigo i miei modelli come un regista. Ricerco una data atmosfera che poi, nel processo di stampa, rielaboro giocando sulle diverse palette e i differenti colori.
Come rappresenta, al contempo, la sua cultura originaria e quella contemporanea del suo Paese?
Non faccio riferimento diretto alla tradizione delle culture indigene del mio Paese, perché non la sento mia e anche perché è complessa e sofisticata. Tutto quello che posso dire è che, anche se sono cresciuta in una città, mi sento ancora legata ad una spiritualità incentrata sulla natura e sul mondo soprannaturale. Ho estrema dimestichezza nel riconoscere gli spiriti dei miei antenati e quando sono in mezzo a persone aborigene percepisco un grande senso di profondità. Di sicuro è da qui che proviene la mia forza interiore. Mi sento fortunata.
* [da Espoarte #97 – Speciale Biennale]
Tracey Moffat è nata a Brisbane, Australia, nel 1960. Vive e lavora a Sydney.
AUSTRALIA
Tracey Moffatt. My Horizon
Sede: Giardini
Commissario: Naomi Milgrom
Curatore: Natalie King
Info: www.australiacouncil.gov.au