VENEZIA | Palazzo Flangini | 13 maggio – 30 luglio 2017
di IGOR ZANTI
Tra le molte esposizioni parallele alla 57. Biennale d’Arte di Venezia, sicuramente è degna di nota la bella mostra organizzata da Studio la Città a Palazzo Flangini.
Un interessante spunto nasce dal titolo stesso della mostra The end of Utopia, titolo sotto il quale si raggruppano i lavori di due artisti molto noti a livello internazionale, Jacob Hashimoto ed Emil Lukas.
Sembra infatti che, tra affondamenti di navi con tesori d’arte, barche che si perdono condotte da marinai poco attenti, sogni magiari degli anni ’60 mai realizzati, ci sia una tendenza diffusa a riflettere sulla fine di un’epoca e di una cultura.
Se, nel 2007, durante Art Basel, The Art Newspaper titolò la prima pagina con un suggestivo the Age of Skulls, notando come il proliferare di teschi e vanitas presenti in fiera fosse una reazione a For the love of God di Damien Hirst, nel caso di questa Biennale 2017 potremmo non tanto parlare di Viva Arte Viva, quanto del requiem della cultura occidentale.
La stessa provenienza dei due artisti in mostra, entrambi statunitensi, fa riflettere sull’idea che la vera utopia morente, non sia tanto quella immaginata da Tommaso Moro, quanto l’Occidente stesso nella sua totalità, quell’Occidente che in nome di una spinta evolutiva ed iper-tecnologica ha creato un profondo sbilanciamento nel rapporto tra uomo e natura.
Tutto questo si evidenzia, in mostra, con due installazioni principali e site specific a cui fanno da contorno diversi lavori di dimensioni minori. Da una parte, Hashimoto presenta al piano terra del palazzo un’imponente e raffinatissima installazione, composta da circa 8500 piccoli aquiloni in carta e bambù, una oscura nuvola fluttuante, un cirrocumulo, dove si percepisce, sulla superficie della carta che ricopre gli aquiloni, una stella che rimanda sia al firmamento e quindi alla natura, sia alle molte stelle presenti nei vessilli nazionali, prime fra tutte quelle della bandiera degli Stati Uniti.
L’effetto, di grande impatto, induce ad una riflessione proprio sul rapporto tradito tra uomo e natura, tra sviluppo tecnologico e sfruttamento nazionale delle risorse naturali.
Da contraltare, la cromata luminosità della grande “Lens” formata dall’assemblaggio di tubi d’alluminio di Lukas che rinuncia, per un momento, all’intreccio di fili che gli è convenzionale e utilizza dei solidi tubi d’acciaio per dare vita ad una sorta di lente multi faccia, quasi l’occhio di una mosca, che riflette in maniera caleidoscopica e distorce la realtà, lo stesso reale che l’uomo con la sua azione ha trasformato e distorto.
Se le due grandi installazioni, in luoghi paralleli, sembrano dialogare tra di loro anche nell’essenziale ossimoro di assorbimento, per Hashimoto, e di riflessione, per Lukas, della luce stessa, e sembrano essere summa degli altri lavori in mostra, i due percorsi espositivi dedicati agli artisti perdono il parallelismo per divenire tangenti ed intersecarsi in diversi momenti cromatici e poetici riconducendo a quello che, sebbene ci appaia un inizio, sia, in realtà, l’ode finale, il canto del cigno di un mondo morente, di una nave alla deriva verso un certo naufragio.
THE END OF UTOPIA. Jacob Hashimoto Emil Lukas
a cura di Studio la Città, Verona
13 maggio – 30 luglio 2017
Palazzo Flangini
Cannaregio 252, Venezia
Info: http://studiolacitta.it/