Non sei registrato? Registrati.
VENEZIA | Arsenale – Padiglione Argentina | 20 aprile – 24 novembre 2024

Intervista a LUCIANA LAMOTHE di Francesco Fabris

L’elisione di peso e di materia, la sottrazione della fisicità grave dei corpi ed il “relativismo” materiale sono concetti che trovano asilo nella poetica di Luciana Lamothe (Buenos Aires, 1975) artista contemporanea multimediale che ricorre alla scultura ed alla performance, alle installazioni e al disegno, cosi come alla fotografia ed ai video per indagare la relazione tra le forze ed i caratteri dei materiali, evidenziandone i limiti e le inclinazioni e, da qui, la possibilità di una inedita relazione con l’essere umano.
È cosi che le indagini sulla morbidezza di materiali usualmente percepiti come rigidi, al pari della costruzione di elementi e strutture in bilico e vicine alla distruzione, permettono una riflessione dialettica attorno alle caratteristiche fisiche, vanificate nel loro senso se spinte sino al limite della loro resistenza e delle loro peculiarità tradizionali.

Luciana Lamothe, Ensayos de Ojalá se derrumben las puertas, 2024. Ph: Catalina Romero / Fotografía de obra

I materiali di cui fa uso Lamothe (principalmente acciaio, tubi innocenti e legno) si atteggiano quasi a esseri viventi, scelgono diverse reazioni a seconda dello stimolo che li colpisce anche se minimo, tipo il peso di un libro.
Da qui si concretizzano sculture ambigue ed enigmatiche, che si collocano al confine tra l’architettura e l’arte partecipativa e che chiamano lo spettatore a relazioni fisiche e di senso.
Torna, dunque, il concetto di relatività che nella poetica dell’artista è denominato “transmaterialità” e secondo cui i materiali e le loro caratteristiche di durezza, elasticità e morbidezza perdono di oggettività a beneficio di una percezione ambivalente e mutevole, ora da parte dell’uomo ora delle macchine e degli strumenti che interagiscono con essi.

Una indagine attorno alla softness, alla leggerezza che in Lamothe diventa cifra del possibile, del leggero e dell’ingombrante verso una via fisica dell’indefinito che ha interessato anche l’architettura e la sua relazione vitale con il corpo umano nella recente Extended Architecture in occasione della Biennale Architettura di Venezia del 2023.
Creatrice di diversi cicli realizzativi e protagonista di plurime apparizioni mondiali (da Parigi a New York, da Los Angeles a Berlino sino a Rio de Janeiro e Miami) Luciana Lamothe è sul palcoscenico della 60. Biennale di Venezia, dove rappresenta l’Argentina quale unica artista del padiglione nazionale con il progetto Ojalà se derrumban las puertas curato da Sofia Durron, uno dei migliori progetti di questa Biennale d’Arte.
L’artista, che in Italia lavora con la galleria Alberta Pane (Parigi, Venezia), ci ha offerto una panoramica sulla visione del suo lavoro

Veduta Padiglione Argentina, 60. Biennale d’Arte di Venezia, courtesy Galleria Alberta Pane (Parigi, Venezia)

Qual è l’importanza dei materiali nel suo lavoro, e come si relazionano al corpo umano ed allo spettatore in particolare?
Nel mio lavoro i materiali hanno un rapporto simbiotico con il corpo dello spettatore. All’inizio mi interessava di più il lavoro in relazione al corpo dello spettatore, cioè a come i materiali venivano percepiti dalle sensazioni fisiche. Le vertigini, l’instabilità, l’incertezza, il non sapere come reagirà il materiale in relazione alla forza che esercita sul corpo. Dopo aver sperimentato questi lavori, ho sentito il bisogno di provare la performance. Mi sono resa conto che i materiali potrebbero essere richiesti per un bisogno molto più esteso. Con i performers puoi testare i materiali in modo più intenzionale ed espressivo che con il pubblico. All’inizio ero più interessata all’esperienza dello spettatore, poi maggiormente alla radicalità della flessione dei materiali.

Veduta Padiglione Argentina, 60. Biennale d’Arte di Venezia, courtesy Galleria Alberta Pane

Il dialogo tra il corpo e la scultura è un dialogo di empatia e identificazione. Esiste un parallelo che genera una relazione tra ciò che il corpo sente quando entra in contatto con la materia, quando ne sente la forza, la vibrazione e l’instabilità, e ciò che sente la materia, che mi sembra fondare anche la consapevolezza della propria resistenza e vibrazione. In questo senso, mi interessa allontanarmi dal concetto binario e dal modo in cui i materiali sono intesi. Non credo che ci siano materiali duri da un lato e morbidi dall’altro. Penso che tutti i materiali abbiano una capacità dinamica e flessibile. Culturalmente e storicamente, questa divisione della comprensione è stata stabilita dal punto di vista della percezione del corpo, che è morbido o duro secondo la sensibilità umana. Così mi piace l’idea di transmaterialità, ossia la capacità dinamica dei materiali di comportarsi in circostanze o punti di vista diversi.
Quindi, preferisco pensare che tutti i materiali siano “insipidi” a diversi gradi percettivi. Cioè, secondo il punto di vista. Il modo in cui la mia mano percepisce un pezzo di legno non è lo stesso che può avere un utensile o una macchina mentre lo taglia. Ovviamente per la mia mano è estremamente duro, ma per la macchina è  estremamente morbido.

Luciana Lamothe, Ensayos de Ojalá se derrumben las puertas, 2024. Ph: Catalina Romero / Fotografía de obra

Quali sono i media attraverso i quali la tua poetica trova completa espressione?
Ho una fascinazione particolare per i materiali industriali e il mondo delle costruzioni. Sento che non serve altro. Se penso ad esempio alla verniciatura di un compensato (la vernice è un altro materiale industriale) lo considero un gesto concettuale. D’altro canto trovo molto importante nel mio lavoro la traccia che gli strumenti e le macchine lasciano sui materiali. Penso che fornisca informazioni sul processo lavorativo e sul modo in cui le macchine influenzano i materiali, cosa che ritengo sia fondamentale nel mio lavoro.
Allo stesso tempo, rusticità e robustezza sono caratteristiche con cui mi piace lavorare. Mi interessa generare domande sulle possibilità di trasformazione di questa consistenza della materia, per mettere in discussione l’architettura e gli spazi in cui viviamo, cioè quegli spazi che progettiamo per vivere e configurare come società.

Veduta della mostra, “Be Water, My Friend”, 2022, a cura di Chiara Vecchiarelli, Galleria Alberta Pane, Venezia. Ph Irene Fanizza Courtesy Galleria Alberta Pane (Parigi, Venezia)

Ci puoi anticipare il tema della ricerca che presenti alla prossima edizione de La Biennale di Venezia?
Il lavoro che verrà presentato a Venezia si intitola Ojalá se derrumben las puertas. Si tratta di una grande installazione immersiva, che unisce architettura, scultura e video. Pone diverse domande. Innanzitutto c’è una domanda su come ci relazioniamo con l’ambiente circostante, i suoi materiali e gli spazi. In questo senso vale la pena interrogarsi sul corpo e sul posto che occupa in questo grande ecosistema. Qual è il rapporto tra la scala e gli elementi e cosa significa la scala? In definitiva, mi interessa indagare come gli elementi si influenzano reciprocamente e come influenzano i corpi che compaiono nell’installazione. Ho sviluppato molte di queste idee nel corso della mia carriera. Inoltre, negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, ho iniziato a interessarmi di più allo spazio come ambiente e come luogo in cui si stabilisce l’interazione: come influenziamo noi stessi e come influenziamo ciò che ci circonda.


Padiglione Argentina
Luciana Lamothe. Ojala se derrumben las puertas
Commissario: Mtro. Alejandra Pecoraro
Curatore: Sofia Dourron

Sede: Arsenale
https://www.labiennale.org/

20 aprile – 24 novembre 2024

Info: https://lucianalamothe.com/
https://albertapane.com/

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •